Basta poco per trasformare agli occhi dell’opinione pubblica la più pacifica delle proteste in un coacervo di facinorosi pronti a sovvertire l’ordine costituito. È questo ciò che deve essere venuto in mente alle forze dell’ordine in risposta al sit-in convocato dagli studenti per venerdì 1 febbraio, in occasione del CDA dell’Ente Regionale per il Diritto allo studio Universitario.
La decisione fa seguito all’invio di lettere minatorie, attraverso le quali l’Ente intima la restituzione degli importi percepiti, qualora il ricorso al TAR presentato contro il mancato rispetto del D.P.C.M. 9 aprile 2001 venisse accolto. Strano modo di tutelare il diritto allo studio.
Ma lo scenario che si è presentato agli occhi di coloro che hanno deciso di rispondere alla chiamata è stato quello di una piazza gremita di polizia, carabinieri in tenuta anti-sommossa e non, DIGOS e polizia municipale (!) (mancavano solo l’esercito e la guardia di finanza). Uno schieramento di forze in proporzione di uno per studente.
Quale sia lo scopo di ciò è facilmente intuibile: stroncare sul nascere qualunque forma di opposizione che non passi per le vie della rappresentanza già da tempo addomesticata. A completare l’opera, dopo aver amorevolmente ricevuto una delegazione delle vittime, l’invio di un comunicato stampa attraverso il quale l’Ente “ha condiviso l’esigenza, rappresentata dagli studenti, di una maggior dotazione di risorse che possano realmente far fronte ai bisogni di mantenimento agli studi degli studenti dell’Ateneo, con particolare attenzione agli studenti fuori sede.”
Queste parole si scontrano, tuttavia, con una realtà ben diversa. Quella nella quale l’E.R.S.U., chiamato ad abbattere gli ostacoli di natura economica e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona, piuttosto che premere nei confronti degli enti politici per pretendere finanziamenti adeguati, preferisce far cassa sulla pelle di quei soggetti che è chiamato a proteggere. Poco importa che questi soldi siano già stati spesi, per far fronte alle spese della vita di tutti i giorni. Che siano stati investiti nel sogno di un futuro migliore dopo anni di sacrifici. Nel caso in cui non abbiate possibilità di restituire l’importo, “Presentate un nuovo ricorso al TAR” è stata l’arguta risposta della Dott.ssa Noli incalzata dalle osservazioni preoccupate degli studenti.
Sottoscriviamo la lettera scritta da alcuni di questi decisi a resistere al ricatto:
“Non restituiremo nessuna borsa! Quei soldi ci servono per vivere! Al di là del diritto sancito dalla Costituzione, noi guardiamo ai nostri bisogni, alle nostre necessità!
Abbiamo partecipato e vinto un bando per una borsa di studio su cui abbiamo pianificato il nostro immediato futuro, su cui abbiamo investito un anno di studi, anticipando il versamento di caparre e mensilità d’affitto, pagando bollette, comprando i testi universitari, spendendo insomma i nostri soldi per tutto ciò che voi – evidentemente – non potete o non volete capire.”