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Sant’Elia è viva.

Un’intervista alle donne dell’associazione Sant’Elia Viva

Foto tratta dall'ulbum "Ma tu di dove sei?" (Quartiere Sant'Elia) 2014" di Gisella Congia
Foto tratta dall’ulbum “Ma tu di dove sei?” (Quartiere Sant’Elia) 2014″ di Gisella Congia

 In Sardegna l’emergenza abitativa sta diventando sempre più un problema reale,  molte le persone che non sono in grado di pagare l’affitto e sono dunque sfrattate  dalle loro abitazioni (secondo i dati provvisori del Ministero degli Interni, usciti  nel  febbraio 2014 e riferiti allo scorso anno, solo in Sardegna sono 302 gli sfratti  per  morosità, di cui 151 quelli eseguiti). Di fronte a questi dati, molti, non avendo  un  reddito adeguato a sostenere un affitto, scelgono la via dell’occupazione, ormai una  pratica sempre più diffusa non solo in Sardegna. A ciò ha deciso di  rispondere alcuni  giorni fa il Governo Renzi, attraverso la nuova Legge sul “Piano  Casa”, che  rappresenta un vero e proprio atto punitivo nei confronti delle  centinaia di  occupazioni presenti in tutto il  paese[1]Questi sono stati i motivi che ci hanno  portato ad approfondire il tema dell’emergenza abitativa, focalizzando la nostra  attenzione su quello che succede nella nostra città, Cagliari. Come Collettivo  Universitario Autonomo abbiamo quindi avuto la possibilità di entrare in contatto con  l’ Associazione culturale Sant’ Elia Viva, un gruppo di donne che ha deciso di  combattere nel loro quartiere, Sant’ Elia, sia questo problema che tanti altri,  mostrando una grande determinazione. Per questi motivi abbiamo deciso di approfondire il rapporto con loro e a dare voce ai loro gesti e alle loro parole.

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STORIE DI ORDINARIA MERITOCRAZIA

assegnidimeritoL’ ASSEGNO DI MERITO: PARADIGMA DELLO STUDENTE INDEBITATO

 La figura dello “uomo indebitato”, prodotto dei continui tagli alla spesa pubblica da parte dei governi e di un’idea economica cinica e votata all’impoverimento, è quella che maggiormente si è affermata nel panorama sociale degli ultimi 25 anni. All’interno dell’azienda università è lo studente, o in alcuni casi la sua famiglia, a dover fare i conti con l’indebitamento sempre più massiccio che negli anni si è costretti a contrarre per iniziare e proseguire gli studi. I finanziamenti che lo Stato mette a disposizione per risolvere il problema non son sufficienti e, come nel caso degli assegni di merito, diventano una causa che, paradossalmente, acuisce maggiormente il disagio del debito. Gli assegni di merito possono senza dubbio essere presi come un paradigma della condizione dello studente indebitato, di studenti e famiglie che i governi fanno finta di non vedere, dell’impossibilità di essere al contempo virtuoso e meritevole in un sistema nel quale la pressione fiscale riesce ad annullare gli stessi finanziamenti allo studio. Questa è la storia che è successa a Gianmario (nome fittizio), uno tra i tanti ragazzi che, avendo beneficiato dell’assegno di merito, si è visto costretto a modificare le condizioni e il percorso della propria carriera universitaria e di conseguenza della vita stessa.

 

 

Ciao Gianmario puoi raccontarci la tua storia?

« Mah, una storia personale come tante. Sono nato in una famiglia semplice, mia madre casalinga e mio padre operaio, stroncato da un male incurabile ad appena 40 anni; io ne avevo appena 11 e mi sono ritrovato presto a fare l’ometto di casa. Dopo il diploma ho subito iniziato a lavorare come operaio per qualche anno, finché non mi sono iscritto all’Università: da qui ho iniziato a lavorare part-time e a dedicarmi agli studi. Mi sono laureato alla triennale qualche mese fa ed ora sono immatricolato ad un corso di Laurea Magistrale. Ho partecipato al bando 2009-2010 (per gli assegni di merito), al quale sono risultato beneficiario; io ho ricevuto un importo di circa 4000 euro. Il primo anno dell’Università ero matricola e ho ricevuto la borsa di studio ERSU: questo mi ha permesso di iniziare gli studi. Senza la borsa non sarebbe stato possibile iscrivermi perché la vita a Cagliari è cara; la mia famiglia non può permettersi di pagarmi gli studi e con un lavoretto part-time di poche ore alla settimana non si paga nemmeno l’affitto. »

Cos’ha comportato ricevere l’assegno di merito in un clima di continui tagli alle borse di studio?

« Non voglio essere ipocrita: l’anno scorso ero fuori corso e mi ha aiutato per coprire le spese: affitto, pasti, spese per la tesi. Non avevo però considerato una cosa: il fatto che l’assegno vada dichiarato nei redditi e contribuisca all’aumento dell’ISEE della famiglia. Nel mio caso l’ISEE raddoppia, perché mia madre vive con una misera pensione. I tagli hanno influito pesantemente, basta guardare le graduatorie ERSU degli scorsi anni. Quest’anno oltre il 60% delle matricole di I e II livello non è borsista: chi ha un ISEE superiore a 7800 euro non ha diritto alla borsa di studio né alla casa dello studente. Quando si parla di matricole è chiaro che c’è di mezzo l’opportunità di studiare, ossia la possibilità di accesso ai più alti livelli dell’istruzione: se si superano di poco i 7800 euro non si ha l’opportunità. Ma una famiglia con 7800 euro di ISEE difficilmente può permettersi di far studiare un figlio, specie se questo è fuori sede. »

Quali son i criteri di assegnazione che ti hanno estromesso da queste agevolazioni?

« Il criterio è solo uno: il reddito. Se si superano quei miseri 7800 euro di ISEE non si è borsisti. E’ una vergogna, non possono accedere agli studi i figli di un operaio generico, che per conoscenza supera quell’importo. Insomma, per studiare o si è figli di disoccupati (poveri loro) o si è figli di benestanti. »

Il racconto della tua esperienza fa emergere alcune criticità che influenzano negativamente la tua condizione studentesca. Hai provato a cercare qualche risposta dalle istituzioni competenti?

« Mi sono rivolto prima all’ERSU, ma la risposta è stata inequivocabile: hanno tagliato i fondi. »

La classica risposta che negli ultimi anni viene utilizzata dalle istituzioni, che scaricano i costi sociali della crisi sulle persone. Questi tagli, contestualizzando alla condizione studentesca, a Cagliari hanno comportato un taglio drastico alle borse di studio, un aumento delle tasse, una minore disponibilità di posti alloggio e un peggioramento generale offerta formativa.

« Per quanto riguarda il fatto che l’assegno di merito vada inserito nella dichiarazione dei redditi, mi hanno detto che non era compito loro discutere di questo: “andate in regione”. Sono andato in regione, all’Assessorato Cultura e Pubblica Istruzione: mi hanno detto che l’Agenzia delle Entrate considera l’assegno di merito come un reddito assimilato (link), quindi la regione non è responsabile di questo scandalo; mi hanno detto che i criteri per l’assegnazione non rientrerebbero in quelli previsti per le borse di studio (es. ERSU) e che quindi l’importo va dichiarato. Io invece non trovo differenze sostanziali tra l’assegno di merito e le borse ERSU. »

Cos’è cambiato dal punto di vista del reddito, del lavoro e dell’abitazione? Ti sei trovato costretto a rivalutare le tue scelte di vita?

« Mi sono laureato con il massimo dei voti, ma ora rischio di non poter proseguire gli studi. Non ho ricevuto la casa dello studente, non ho diritto alla borsa né ai pasti, insomma devo pagarmi gli studi. Per vivere e studiare a Cagliari, senza nessuna pretesa, servono 500 euro al mese. Per guadagnare questi soldi è necessario lavorare ogni giorno, togliendo tempo allo studio, rinunciando a qualche lezione con un risultato inevitabile: si allungano i tempi di studio e aumentano le tasse, e si entra in un circolo vizioso in cui più lavori, meno studi, più aumentano le tasse, più devi lavorare: non se ne esce più.
Credo che chi ci amministra non sia mai stato nella condizione di studente fuori sede e, se lo è stato, era benestante. »

Cos’avrebbe comportato non dichiarare all’interno del reddito l’assegno di merito? Ti sarebbe convenuto in termini economici?

« Probabilmente una sanzione da parte di Equitalia, si dice, intorno ai 500 euro. Ma pensa quali vantaggi: avrei avuto casa, pasti e borsa.. ne sarebbe valsa la pena. Insomma, se avessi fatto il disonesto avrei potuto proseguire con tranquillità gli studi. »

[ Tale espressione mette in luce la contraddizione che emerge tra gli slogan utilizzati dal governo Monti che, attraverso una spettacolarizzazione della lotta all’evasione fiscale, ha trovato il capro espiatorio della crisi economica e sociale in chi non paga le tasse. In realtà, gli stessi processi burocratici delle istituzioni costringono le persone a non poter sostenere tutti i costi che il sistema – nel nostro caso quello universitario – richiede, se non paradossalmente tramite gli stessi metodi e modalità criminalizzate. ]

« Inoltre, lavorare (in nero) mi preclude, di fatto, la possibilità di concorrere il prossimo anno x l’assegnazione della borsa di studio e il posto alloggio, poiché ho a disposizione meno tempo rispetto agli altri studenti che concorrono per ottenere questi benefici e hanno la possibilità di dedicarsi a tempo pieno allo studio. Arrivati a questo punto, una delle possibilità che stavo valutando era quella di ritirarmi quest’anno e iscrivermi nuovamente l’anno prossimo, eliminando in questo modo il “fardello” dell’assegno di merito. »

Conosci altre persone in questa situazione?

« Conosco tante persone, in situazioni economiche difficili, che non possono studiare per i motivi che ho detto. Ma anche persone non matricole, che hanno raggiunto tutti i crediti previsti dai criteri ersu, peraltro con il massimo dei voti, e che si sono ritrovate senza né casa né borsa: non si dà l’opportunità di studiare né ai poveri e nemmeno ai meritevoli. Assurdo. »

 

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Negli ultimi tempi, attraverso il bombardamento mediatico, siamo stati assuefatti a due retoriche strumentali alle agende politiche:

 

  • GUERRA ALL’EVASIONE FISCALE: se si pagano le tasse e si è in regola dal punto di vista legale con i pagamenti ci si può considerare virtuosi e meritevoli di proseguire la vita universitaria.
  • MERITOCRAZIA: per cui se studi regolarmente allora sarai in grado di ottenere le borse di studio e proseguire la carriera universitaria.

 

La falla burocratica, sembra essere causata da una “mancanza di comunicazione tra le istituzioni”. Ma sino a che punto possiamo definirla in questo modo, dal momento che al loro primo anno l’equiparazione tra assegno di merito e reddito non veniva esplicitata e solo dopo (link) le contestazioni dei beneficiari le istituzioni hanno reso chiaro e ben visibile questo passaggio?

In realtà la “falla burocratica”, la contraddizione tra gli strumenti utilizzati delle istituzioni, mette in luce tre aspetti dell’università-azienda:

1) a dispetto dello smantellamento dell’università, dei tagli alla formazione, vi è la necessità di strumenti, di natura prettamente finanziaria che supportino la bontà e la funzionalità del sistema meritocratico e di aziendalizzazione.

2) l’incapacità di gestire quegli stessi strumenti, capaci solo di produrre competizione e non cooperazione, povertà invece che arricchimento, sia economica del singolo che del sapere collettivo.

3) il tentativo, impossibile sul piano logico, di dare un valore di tipo economico e sociale alla conoscenza.

Ma è realmente possibile misurare la qualità e la quantità del sapere, quando questo è un bene che si produce e accresce all’interno e tramite le relazioni sociali? Può esistere una norma capace di individuare i parametri di valutazione della conoscenza? Chiaramente no, a meno di non considerare l’università un’azienda il cui unico scopo è la produzione di lavoratori indottrinati e lo studio una mera accumulazione di crediti e superamento di esami.

Contestare questo tipo di meccanismi vuol dire affermare un sapere cooperativo e non privato.

Reclamare reddito che sia scollegato dalle logiche del merito significa favorire la produzione comune e dunque la soddisfazione dei desideri e dei bisogni che da essa emergono.

Il nesso tra accreditamento e riproduzione nella creazione del debito studentesco

Le parole di uno studente sull’imporsi del debito a partire dalla selezione universitaria

Un’ipotesi di conricerca, incontro e costruzione di lotta partendo dai test d’ingresso.

Cosa significa parlare di indebitamento studentesco? Per il futuro prossimo possiamo ragionevolmente prevedere la sopravvivenza – sebbene in forma sempre più sottofinanziata e monetizzata – degli istituti tradizionali di beneficio per il diritto allo studio (borse, alloggi, ristorazione, agevolazioni nella tassazione etc.) in favore dei “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”. Eppure, accanto alla spettralizzazione del welfare, si scorge avanzare un complesso di dispositivi sempre più invasivi di finanziarizzazione dell’auto-garanzia della formazione e della possibilità della formazione.

La dicotomia diritto/possibilità alla/della formazione articola una segmentazione interna a una medesima composizione, al fine di estrarre plusvalore direttamente dalla riproduzione sociale della stessa composizione. Agiscono infatti due processi opposti e complementari di valorizzazione capitalistica, nella fabbrica cognitiva: la produzione e la riproduzione di soggetti formati, ovvero l’investimento su un capitale umano e la sua rendita. Il primo è garantito come un diritto sub conditione dimostrando merito, crediti maturati alla mano; il secondo è un accesso – come una possibilità – a un circuito di valorizzazione comunque limitato.

Si tratta infatti di moltiplicare gli sbarramenti. Creare artificiosi debiti formativi significa creare e alimentare un sistema dell’accreditamento continuo al quale viene legata la possibilità della riproduzione materiale della propria condizione. Per continuare a studiare e colmare il debito formativo si finisce per indebitarsi concretamente. In questo passaggio, nel nesso tra accreditamento e riproduzione, si produce, in maniera coatta, una soggettività indebitata. La riproduzione è funzione dell’accreditamento e può esser soddisfatta solo da un indebitamento materiale.

I test non selettivi per i corsi di laurea triennali non a numero a chiuso – altro capitolo analogo andrebbe aperto sui test dei corsi di laurea a numero chiuso – rispondono esattamente a questa logica. Se non superati i test impongono inoltre l’iscrizione d’ufficio al tempo parziale. Si tratta di un altro meccanismo di disciplinamento dei tempi di studio e di lavoro: uno sbarramento che rinvia, entro una misura ad hoc, il traguardo dell’accreditamento affinché l’ateneo, nella sua “contabilità”, non si trovi con troppi “fuori corso”, risultando in questo modo “non virtuoso” e dunque non beneficiario della ripartizione della parte premiale del fondo di finanziamento ordinario statale.

Ecco gli effetti concreti, sulla materialità delle nostre condizioni, delle politiche d’impoverimento dell’università. Altro che una nominale “difesa della cultura”, verrebbe da dire…

* * *

Discutendo con Thomas – vent’anni, studente di Lingue a Cagliari – abbiamo potuto rintracciare, attraverso una storia concreta, la materialità di uno di questi processi di indebitamento e dei dispositivi connessi.

Racconta Thomas: “io ho maturato il debito al test d’ingresso per quanto riguarda tedesco e la risposta che mi è stata data dalla segreteria o dalla docente – non mi ricordo – è stata che essendoci stati pochi studenti ad aver conseguito il debito in tedesco al test d’ingresso non valeva la pena fare i corsi di recupero. Quindi è stato deciso che, per recuperare questa materia, lo studente avrebbe dovuto superare l’intero esame (linguistica, lettorato e orale)… non avendo però passato una parte mi sono ritrovato nella situazione di merda in cui quest’anno non riceverò la borsa di studio e probabilmente se non passerò il prossimo appello dovrò rendere i soldi dell’intera borsa di studio dell’anno passato…”

Si ha a che fare con un meccanismo di accreditamento infinito e artificioso: si attribuisce un debito ma si impedisce di colmarlo, non attivando specifici corsi di recupero. Non solo, i corsi di recupero vengono sostituiti con un esame del normale percorso accademico, ingenerando la palese contraddizione per la quale, pur dichiarando gli studenti “non idonei” e in debito formativo, si pretende di fargli colmare il debito accreditandosi regolarmente, conseguendo i crediti formativi di un esame. Da questa contraddizione il carattere puramente fittizio del “debito formativo”, il suo carattere strumentale.

Questo meccanismo infatti diventa complementare a un’inclusione differenziale, un accesso su un piano di principio e di diritto garantito universalmente, ma in realtà limitato e regolamentato da dispositivi di controllo (i test) ed esclusione attraverso la moltiplicazione degli sbarramenti imposti (accreditamento costante in percorsi curricolari ed extra-curricolari).

La complementarietà tra accreditamento e inclusione differenziale si stabilisce su un governo emergenziale del sistema delle garanzie sociali: la mancanza di investimenti e di manutenzioni nelle strutture diventa l’alibi perfetto per imporre ricattabilità e ulteriori sbarramenti. Entro queste dinamiche viene inscritta anche l’esperienza di Thomas.

“io e un mio amico”, prosegue Thomas, “eravamo nella stessa situazione: aspettando i ripescaggi ERSU ci siamo ritrovati, con la chiusura della casa di via Roma [ennesima chiusura della struttura, in questa occasione a causa di perdite nel sistema idrico, ndr] a doverci cercare una camera in affitto. Oltre il danno anche la beffa, perchè abbiamo dovuto cercare la casa entro il 1° dicembre – per non perdere la borsa di studio – ed era già metà novembre.”

Lo stato di abbandono delle case dello studente di Cagliari, nel quadro complessivo di dismissione del welfare studentesco, si traduce, nei processi di indebitamento del precariato giovanile in formazione, in una precisa scelta politica che soddisfa una compatibilità di fondo con un mercato degli affitti gonfiato a dismisura dall’ingente numero di appartamenti e stabili sfitti. 170 euro per un posto letto in una camera doppia in un umidissimo seminterrato del centro storico, così si quantifica l’impoverimento giovanile.

La mancanza di reddito indiretto – servizi, tutele, etc. – dev’essere colmata con una fonte di reddito diretta: un lavoro qualsiasi, in nero, una serata ogni tanto. Thomas ora sta “lavorando all’ippodromo come cameriere per 30 euro a serata”. Anche questo un impiego parte dei progetti per il rilancio dell’occupazione giovanile della Regione? Non neghiamo ci sia una parentela: la stessa produzione di precarietà.

Su questi soldi, buoni giusto per coprire l’affitto, grava sempre però lo spauracchio del debito formativo da colmare, pena l’indebitamento materiale con l’ERSU: “a breve avrò un esame e solo con l’esito positivo di questo potrò tenere i soldi. Il lavoro me lo sono dovuto cercare… anche perchè se l’esame va’ male devo rendere i soldi!!!”.

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Bisogna riprendere in mano la domanda iniziale. Cosa significa indebitamento studentesco? Non possiamo accontentarci di una lettura sociologica. Sappiamo bene che il mondo della formazione si ristruttura sempre più in un processo ad alta valorizzazione capitalistica profondamente diversificato al suo interno. Se mantiene, in via di principio, una vocazione all’inclusione universalistica (perché senza saperi diffusi e condivisi non c’è riproduzione sociale e dunque possibilità di estrarre da questa plusvalore) allo stesso tempo il controllo sulle forme della valorizzazione sociale, sulla nostra formazione dunque, si esercita con l’imposizione di dispositivi di disciplinamento materiale quali la precarizzazione delle condizioni di riproduzione del proletariato in formazione e il suo indebitamento. Non serve controllare le statistiche sull’interruzione dei percorsi formativi alla laurea di primo livello per capire come tutto questo conduca, in termini quantitativi, a fenomeni di “esclusione differenziale” più che di inclusione.

Allora questo genere di domanda – che cosa significa per noi indebitamento studentesco? – deve aggredire le nostre esperienze soggettive articolando da queste un metodo che ci permetta, rintracciando i singoli processi, di ricomporre e sviluppare socialmente la potenza dei soggetti impoveriti, di affermare comunemente le loro istanze i loro bisogni, le nostre istanze i nostri bisogni. Dobbiamo ripartire dai rapporti concreti in cui siamo presi per iniziare a ragionare comunemente su come sottrarci all’impoverimento, negarlo e nel conflitto riprenderci spazi, reddito e ricchezza.