PRODUCI, CONSUMA, CREPA! Il destino dello studente moderno

Nuovo anno accademico, nuove tasse, nuovi attacchi agli studenti!

Francesco Profumo, ministro dell’istruzione, Università e Ricerca:<< I fuoricorso hanno un costo anche in termini sociali >>

F.P. << Un po’ di bastone e carota. Questo è un paese che ha bisogno di essere trattato in questo modo. E dobbiamo avviare questo processo >>

Michel Martone, viceministro del lavoro:<< Dobbiamo dire ai nostri giovani che se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto tecnico professionale sei bravo. Essere secchione è bello, almeno hai fatto qualcosa >>

Questa e altre dichiarazioni sono mirate alla criminalizzazione dello studente “non meritevole”, ennesimo stereotipo ideologico, come il disoccupato fannullone o il privato virtuoso, da usare come ariete di sfondamento delle poche barriere rimanenti a difesa del diritto allo studio.
L’università di Cagliari, in linea con i provvedimenti adottati dal sistema universitario Italiano, inserisce sovrattasse. A cosa servono? Ad eliminare i “perditempo” o ad ingrassare i conti?
La parola d’ordine è “meritocrazia”.

Emergono dal regolamento tasse (a pagina 10, link qui):

“sovrattassa di discontinuità”: gli studenti inattivi, ovvero coloro che nel corso di un semestre non superano almeno un esame, dovranno corrispondere per ogni semestre di inattività una tassa dal valore di 50€.
Questa tempistica non corrisponde a quella interna dell’organizzazione di ogni corso generando disagi e complicazioni. Un’ulteriore conseguenza è lo scavalcamento dell’autorganizzazione del singolo studente, limitandone l’organizzazione dello studio in base alle proprie esigenze, per esempio un lavoro che gli garantisca un reddito minimo necessario al mantenimento degli studi).

“Incremento tassa base per numero CFU conseguiti inferiore alla media del Corso”, determinata in base al numero di CFU dati in un anno: se il numero di questi è inferiore alla media dei crediti conseguiti dagli altri studenti del corso, si è “multati” con una sovrattassa del 10% sulla tassa base, non c’è scampo neanche per gli esentasse, che dovranno comunque pagare la sovrattassa calcolata sulla tassa base minima. Lo strumento della media, infatti, garantisce per sua stessa definizione la presenza di studenti al di sotto di tale media assicurando di fatto un’entrata sicura nel bilancio universitario già abbondantemente pagato attraverso le tasse (20?? milioni di euro dati dagli studenti dell’università).

Tutto ciò viene giustificato come adattamento al sistema meritocratico, stimolando così impegno e dedizione, creando soggetti produttivi integrati in sistema e società.

Esiste però un’altra chiave di lettura, quella dove il termine meritocrazia si traduce in creditocrazia: in un sistema meritocratico si applicano delle dinamiche volte alla creazione di soggetti sociali conformi al sistema economico-produttivo.
Ci troviamo davanti ad un vero e proprio processo di aziendalizzazione dell’università: i crediti diventano lo strumento di valutazione dell’efficienza produttiva dello studente, fagocitato all’interno del sistema del debito (che da formativo diventa reale, spianando la strada ad un classismo che puzza di vecchio). Con il sistema del “paghi per studiare”, “meno studi più paghi”, il livello di formazione è determinato prettamente in base al numero dei crediti, si sta premiando chi produce di più sulle spalle di tutti gli altri. Le contraddizioni più esplicite nascono da una situazione non paritaria di partenza, dovuta ad esempio a condizioni socio-economico-culturali precedenti, successivamente aggravate da questi metodi che conducono alla creazione di disparità tra gli studenti. Coloro che occupano i gradini più bassi, sono destinati all’ingresso in un labirinto senza uscita: l’impossibilità di colmare la distanza che nel peggiore dei casi porta all’abbandono degli studi. È questa l’università pubblica? Non si sta garantendo un servizio decente, e tanto meno lo si sta garantendo a tutti.
La dinamica del “punirne cento per premiarne uno” stimola la competizione secondo principi che trasformano la meritocrazia in creditocrazia, insomma, una “gara per l’impiegato dell’anno” che vede i crediti come unici strumenti di valutazione.
L’università viene privata del ruolo di servizio per diventare un luogo di produzione: gli studenti devono produrre (rendere bene e guadagnare crediti) o in alternativa pagare (chi può permetterselo).
Il fuori corso è diventato il nemico numero uno dell’università, da additare come costo sociale, che impedisce al mondo della formazione di migliorare il suo servizio, e da sfruttare come fondo cassa necessario al risanamento dei bilanci degli atenei.
Ci si pone nuovamente una scelta importante da prendere: continuare a lamentarci per i servizi sempre più scadenti, per le borse di studio in continua diminuzione e per le tasse sempre più onerose, o si può iniziare a reagire a questo stato di cose istruendoci, agitandoci e organizzandoci per riappropriarci di ciò che ci spetta e affermare che questa crisi non l’abbiamo voluta, non l’abbiamo creata e non abbiamo nessuna intenzione di pagarla.

Il nesso tra accreditamento e riproduzione nella creazione del debito studentesco

Le parole di uno studente sull’imporsi del debito a partire dalla selezione universitaria

Un’ipotesi di conricerca, incontro e costruzione di lotta partendo dai test d’ingresso.

Cosa significa parlare di indebitamento studentesco? Per il futuro prossimo possiamo ragionevolmente prevedere la sopravvivenza – sebbene in forma sempre più sottofinanziata e monetizzata – degli istituti tradizionali di beneficio per il diritto allo studio (borse, alloggi, ristorazione, agevolazioni nella tassazione etc.) in favore dei “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”. Eppure, accanto alla spettralizzazione del welfare, si scorge avanzare un complesso di dispositivi sempre più invasivi di finanziarizzazione dell’auto-garanzia della formazione e della possibilità della formazione.

La dicotomia diritto/possibilità alla/della formazione articola una segmentazione interna a una medesima composizione, al fine di estrarre plusvalore direttamente dalla riproduzione sociale della stessa composizione. Agiscono infatti due processi opposti e complementari di valorizzazione capitalistica, nella fabbrica cognitiva: la produzione e la riproduzione di soggetti formati, ovvero l’investimento su un capitale umano e la sua rendita. Il primo è garantito come un diritto sub conditione dimostrando merito, crediti maturati alla mano; il secondo è un accesso – come una possibilità – a un circuito di valorizzazione comunque limitato.

Si tratta infatti di moltiplicare gli sbarramenti. Creare artificiosi debiti formativi significa creare e alimentare un sistema dell’accreditamento continuo al quale viene legata la possibilità della riproduzione materiale della propria condizione. Per continuare a studiare e colmare il debito formativo si finisce per indebitarsi concretamente. In questo passaggio, nel nesso tra accreditamento e riproduzione, si produce, in maniera coatta, una soggettività indebitata. La riproduzione è funzione dell’accreditamento e può esser soddisfatta solo da un indebitamento materiale.

I test non selettivi per i corsi di laurea triennali non a numero a chiuso – altro capitolo analogo andrebbe aperto sui test dei corsi di laurea a numero chiuso – rispondono esattamente a questa logica. Se non superati i test impongono inoltre l’iscrizione d’ufficio al tempo parziale. Si tratta di un altro meccanismo di disciplinamento dei tempi di studio e di lavoro: uno sbarramento che rinvia, entro una misura ad hoc, il traguardo dell’accreditamento affinché l’ateneo, nella sua “contabilità”, non si trovi con troppi “fuori corso”, risultando in questo modo “non virtuoso” e dunque non beneficiario della ripartizione della parte premiale del fondo di finanziamento ordinario statale.

Ecco gli effetti concreti, sulla materialità delle nostre condizioni, delle politiche d’impoverimento dell’università. Altro che una nominale “difesa della cultura”, verrebbe da dire…

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Discutendo con Thomas – vent’anni, studente di Lingue a Cagliari – abbiamo potuto rintracciare, attraverso una storia concreta, la materialità di uno di questi processi di indebitamento e dei dispositivi connessi.

Racconta Thomas: “io ho maturato il debito al test d’ingresso per quanto riguarda tedesco e la risposta che mi è stata data dalla segreteria o dalla docente – non mi ricordo – è stata che essendoci stati pochi studenti ad aver conseguito il debito in tedesco al test d’ingresso non valeva la pena fare i corsi di recupero. Quindi è stato deciso che, per recuperare questa materia, lo studente avrebbe dovuto superare l’intero esame (linguistica, lettorato e orale)… non avendo però passato una parte mi sono ritrovato nella situazione di merda in cui quest’anno non riceverò la borsa di studio e probabilmente se non passerò il prossimo appello dovrò rendere i soldi dell’intera borsa di studio dell’anno passato…”

Si ha a che fare con un meccanismo di accreditamento infinito e artificioso: si attribuisce un debito ma si impedisce di colmarlo, non attivando specifici corsi di recupero. Non solo, i corsi di recupero vengono sostituiti con un esame del normale percorso accademico, ingenerando la palese contraddizione per la quale, pur dichiarando gli studenti “non idonei” e in debito formativo, si pretende di fargli colmare il debito accreditandosi regolarmente, conseguendo i crediti formativi di un esame. Da questa contraddizione il carattere puramente fittizio del “debito formativo”, il suo carattere strumentale.

Questo meccanismo infatti diventa complementare a un’inclusione differenziale, un accesso su un piano di principio e di diritto garantito universalmente, ma in realtà limitato e regolamentato da dispositivi di controllo (i test) ed esclusione attraverso la moltiplicazione degli sbarramenti imposti (accreditamento costante in percorsi curricolari ed extra-curricolari).

La complementarietà tra accreditamento e inclusione differenziale si stabilisce su un governo emergenziale del sistema delle garanzie sociali: la mancanza di investimenti e di manutenzioni nelle strutture diventa l’alibi perfetto per imporre ricattabilità e ulteriori sbarramenti. Entro queste dinamiche viene inscritta anche l’esperienza di Thomas.

“io e un mio amico”, prosegue Thomas, “eravamo nella stessa situazione: aspettando i ripescaggi ERSU ci siamo ritrovati, con la chiusura della casa di via Roma [ennesima chiusura della struttura, in questa occasione a causa di perdite nel sistema idrico, ndr] a doverci cercare una camera in affitto. Oltre il danno anche la beffa, perchè abbiamo dovuto cercare la casa entro il 1° dicembre – per non perdere la borsa di studio – ed era già metà novembre.”

Lo stato di abbandono delle case dello studente di Cagliari, nel quadro complessivo di dismissione del welfare studentesco, si traduce, nei processi di indebitamento del precariato giovanile in formazione, in una precisa scelta politica che soddisfa una compatibilità di fondo con un mercato degli affitti gonfiato a dismisura dall’ingente numero di appartamenti e stabili sfitti. 170 euro per un posto letto in una camera doppia in un umidissimo seminterrato del centro storico, così si quantifica l’impoverimento giovanile.

La mancanza di reddito indiretto – servizi, tutele, etc. – dev’essere colmata con una fonte di reddito diretta: un lavoro qualsiasi, in nero, una serata ogni tanto. Thomas ora sta “lavorando all’ippodromo come cameriere per 30 euro a serata”. Anche questo un impiego parte dei progetti per il rilancio dell’occupazione giovanile della Regione? Non neghiamo ci sia una parentela: la stessa produzione di precarietà.

Su questi soldi, buoni giusto per coprire l’affitto, grava sempre però lo spauracchio del debito formativo da colmare, pena l’indebitamento materiale con l’ERSU: “a breve avrò un esame e solo con l’esito positivo di questo potrò tenere i soldi. Il lavoro me lo sono dovuto cercare… anche perchè se l’esame va’ male devo rendere i soldi!!!”.

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Bisogna riprendere in mano la domanda iniziale. Cosa significa indebitamento studentesco? Non possiamo accontentarci di una lettura sociologica. Sappiamo bene che il mondo della formazione si ristruttura sempre più in un processo ad alta valorizzazione capitalistica profondamente diversificato al suo interno. Se mantiene, in via di principio, una vocazione all’inclusione universalistica (perché senza saperi diffusi e condivisi non c’è riproduzione sociale e dunque possibilità di estrarre da questa plusvalore) allo stesso tempo il controllo sulle forme della valorizzazione sociale, sulla nostra formazione dunque, si esercita con l’imposizione di dispositivi di disciplinamento materiale quali la precarizzazione delle condizioni di riproduzione del proletariato in formazione e il suo indebitamento. Non serve controllare le statistiche sull’interruzione dei percorsi formativi alla laurea di primo livello per capire come tutto questo conduca, in termini quantitativi, a fenomeni di “esclusione differenziale” più che di inclusione.

Allora questo genere di domanda – che cosa significa per noi indebitamento studentesco? – deve aggredire le nostre esperienze soggettive articolando da queste un metodo che ci permetta, rintracciando i singoli processi, di ricomporre e sviluppare socialmente la potenza dei soggetti impoveriti, di affermare comunemente le loro istanze i loro bisogni, le nostre istanze i nostri bisogni. Dobbiamo ripartire dai rapporti concreti in cui siamo presi per iniziare a ragionare comunemente su come sottrarci all’impoverimento, negarlo e nel conflitto riprenderci spazi, reddito e ricchezza.

Clausura a Sant’Efisio? Lottiamo per riaprire il nostro college!

Oltre il danno, la beffa. Il College Sant’Efisio, struttura pubblica – perché finanziata con soldi pubblici, ma privata – perché in possesso della Curia, la cui ristrutturazione è costata alla Regione Autonoma Sardegna oltre 18 milioni di euro (soldi pubblici, quindi soldi nostri) è uno dei termini di soluzione imposti dall’ERSU agli studenti per l’emergenza case dell’autunno 2012. Quando, davanti agli occhi, due case dello studente sono chiuse per inagibilità e i progetti per la costruzione di nuove case sono totalmente assenti ma, voltandoci alle spalle, vediamo strutture abitative nuove di zecca come quella del College Sant’Efisio, riesce difficile credere all’escamotage della crisi economica come giustificazione della totale mancanza di investimenti nel mondo della formazione.

L’accordo ERSU-College prevede un versamento nelle casse della Curia di circa 260 euro al mese per posto letto, accordo che continua a depredare le casse pubbliche dirottando il denaro verso i privati.

Abbiamo pagato il College e stiamo pagando gli affitti al College. Non basta ancora. La direzione del College ha imposto che la struttura sia divisa in settori femminili e settori maschili. I criteri di assegnazione dei posti letto hanno dovuto sottostare a questa imposizione: questo ha determinato che i primi assegnatari “aprissero” i piani rispettivamente a maschi o  femmine. Quindi: la prima ragazza che ha preso la prima stanza al primo piano ha determinato (senza volerlo) che quel piano fosse destinato solo alle ragazze, e così per gli altri piani. Un solo piano è stato “aperto” da un ragazzo. Alla fine delle assegnazioni uno dei piani femminili è rimasto pressoché vuoto, ma i ragazzi meritevoli della singola non hanno potuto avere accesso al diritto abitativo perché la direzione del College ha negato la possibilità di poter creare un piano misto.

Quella struttura è nostra, pagata da noi. Ci hanno fatto pagare per costruirla, ci stanno facendo pagare per abitarla, e ora ci impongono delle regole assurde per poterci abitare. Dalla Curia s’impone un regime per seminaristi.

Clausura a Sant’Efisio? No! Nulla di regalato, riprendiamoci quello che ci spetta! RIAPRIAMOLO!

 C.U.A. Casteddu

Assemblea contro i tagli all’università Martedì 9

Le soluzioni proposte dall’ERSU in seguito alla chiusura di due case dello studente stanno creando notevole disagio agli studenti.
Il College Sant’Efisio, pagato con i soldi della regione, percepisce un compenso maggiore per gli affitti rispetto a quanto l’ERSU da per ogni studente costretto ad affittare stanze per tre mesi, 260 contro 200 euro.
Affitti che presumibilmente potranno solo essere in nero vista la difficoltà nel trovare qualcuno che ti permetta di fare un contratto per soli tre mesi.

Laddove questa rappresentanza non è capace di garantircelo, siamo noi che dobbiamo incontrarci tutti assieme – abitanti nelle case, borsisti, idonei non beneficiari, studenti non idonei – per discutere la situazione e costruire da noi una soluzione alternativa.

Riprendiamoci il presente per garantirci il futuro.
INCONTRIAMOCI Martedì 9 ottobre alle 11 al Magistero, via Is Mirrionis 1.