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Ersu: economia e ricatti. Continuano le testimonianze degli studenti

Terza foto via Biasi
Immagine delle condizioni della casa dello studente di via Biasi al rientro dalle “vacanze estive” degli studenti che vi abitano

I disagi creati dall’ Ente regionale per il diritto allo studio, in questi anni, continuano senza tregua, e continua anche la nostra raccolta di testimonianze degli studenti direttamente colpiti dalle inadempienze dell’ ente. Stavolta abbiamo intervistato Enrica, studentessa al terzo anno di Lingue e Comunicazione a Cagliari. La ragazza ha molto da raccontarci, dal momento che ha avuto la possibilità di vivere in quasi tutte le case dello studente della nostra città. Le sue parole hanno portato alla luce aspetti molto interessanti.

 

 

 

 

Molto spesso ciò che emerge dal dialogo con gli abitanti delle case è la sensazione che questi sembrino essere considerati dall’ ERSU come degli ospiti piuttosto che come persone che stanno beneficiando di un loro diritto.

È ciò emerge anche dalle parole di Enrica, quando racconta della sua esperienza all’interno del College Sant’ Efisio, struttura a carattere universitario gestita dalla Fondazione omonima (di cui fanno parte la diocesi di Cagliari, Regione, Provincia di Cagliari e diversi enti privati quali la Saras) e finanziato dalle precedenti giunte regionali guidate da Italo Masala e Renato Soru. Il tutto per un totale di 8 milioni e 800 mila euro, a cui si aggiungeranno i dieci milioni che saranno stanziati dall’attuale governo della Regione per il suo completamento.

“Se a casa tua non si usa pagare le bollette e la tua famiglia è abituata ad essere mantenuta dallo Stato, non sono problemi nostri, qui dentro funziona diversamente”. Queste parole, rivolte alla studentessa, mostrano lo smisurato e inadeguato potere di chi gestisce materialmente il college.

Ma sono diversi gli aspetti  sottolineati da Enrica: dalla divisione dei piani per sesso alla possibilità di fare solo 4 lavatrici al mese, passando per la mancanza di cucine presenti nella struttura- posto che, dal momento che i pasti concessi ai borsisti sono solo 240, pranzare e cenare ogni giorno in mensa equivale a esaurire il vitto in quattro mesi- sino ad arrivare alla situazione forse più grave che possa capitare, ovvero i controlli che regolarmente il prete di turno eseguiva all’interno delle stanze, senza alcuna autorizzazione né apparente motivazione.

La studentessa ha poi proseguito specificando che questi problemi sono stati esposti anche all’interno degli uffici ERSU, ma i dirigenti parevano ignorare completamente come funzionasse la vita all’interno del College, dimostrando ancora una volta la mediocrità del loro operato.

“Io quando abitavo là ero soggetta a due regolamenti: quello dell’ERSU e quello dei preti che gestivano la casa”. Con questa frase Enrica sintetizza molto bene la vita dentro la struttura.

Ma forse l’episodio più assurdo avviene durante il periodo in cui il Papa giunse a Cagliari, nel settembre del 2013. Il College avrebbe dovuto ospitare il capo religioso e tutta la sua organizzazione e, come era ben prevedibile, gli studenti son stati costretti a trasferirsi nelle altre strutture universitarie. “Da come ci hanno trattato sembravamo dei terroristi”, ci tiene a sottolineare la ragazza.

La studentessa prosegue poi raccontandoci la sua esperienza in altre due case dello studente di Cagliari, via Trentino e via Biasi.

La cronaca ci permette di comprendere come le problematiche riguardino ogni struttura, mostrando, dunque, la mala gestione da parte dell’Ente. Case diverse ma soliti problemi.

La casa di via Biasi, ad esempio, è stata recentemente sotto la luce dei riflettori a causa di problemi igienici. Nel settembre di quest’anno gli abitanti, al ritorno dal commiato estivo, hanno trovato uno strano comitato d’accoglienza: blatte nei gradini, negli impianti doccia, nelle stanze e negli spazi comuni. Ma non solo, anche le finestre avevano urgente bisogno di manutenzione e c’era sporcizia ovunque. Ciò ha scatenato la reazione indignata di alcuni studenti, che in un primo momento hanno contatto i dirigenti Ersu, ma non sentendosi ascoltati hanno poi inviato le foto che attestavano la condizione della casa agli agenti Nas e alla Asl di Cagliari, i quali hanno annunciato un’ ispezione. Ma anche questa situazione è stata soffocata magistralmente dall’ERSU, tant’è che solo poche testate hanno riferito la notizia, facendo sembrare l’avvenuto “normale”. Successivamente, come ci dice la stessa Enrica, chi gestisce la casa ha iniziato ad applicare il regolamento in modo serrato, come se stessero punendo gli studenti che hanno voluto alzare questo “ingiusto” polverone.

Ma questo non è l’unico episodio spiacevole. Le parole di Enrica sul disagio vissuto nelle case sono molto significative: “Non possiamo ricevere le chiavi di camere che sono ridotte in questo stato. Non possiamo vivere in strutture non create, ma adibite alla bell’e meglio per gli studenti. Molte stanze non hanno le scrivanie,  usano lo scotch per aggiustare le finestre, gli spazi comuni sono puliti da agenzie esterne in maniera sommaria, anche perché il contratto prevede una pulizia per uffici, non per una casa dello studente.” Sì, perché all’ERSU funziona così: si fa economia sulle spalle degli studenti.

“Molti beneficiari, però, ringraziano di avere un posto letto. Ma non funziona così. Siamo studenti, non bestie. Non è possibile che su quattro strutture a Cagliari, solo via Trentino sia una vera casa dello studente. Le altre sono edifici costruiti per altre attività, e poi adibiti a studentati”.

Le inadempienze dell’ERSU possono essere riassunte in due parole: economia e ricatti. Così l’ente che dovrebbe garantire il diritto allo studio porta avanti il suo operato, gravando sulle spalle di studenti che non possono fare altro se non assecondarne la gestione pur di non ritrovarsi in mezzo a una strada e perdere quella tranquillità economica che consente loro di studiare serenamente.

 

Seconda foto via BiasiPrima foto via Biasi

 

22 novembre. Ora parlano gli studenti

Foto corteo

La domanda che ho sentito più spesso in queste due lunghissime settimane? “Perché siete andati contro la celere? Sapevate cosa sarebbe successo.” La mia risposta è e sarà sempre la stessa: solo i ladri o chi ha qualcosa da nascondere entra dall’ingresso posteriore. Noi siamo il popolo, noi siamo studenti e la nostra rabbia non la vogliamo nascondere. Quindi siamo voluti entrare dall’entrata principale.

Inizia così la testimonianza di Luca (nome fittizio per rispettare la sua privacy), uno degli studenti scesi in piazza il 22 Novembre durante la giornata di sollevazione regionale indetta dal Collettivo Autonomo Studentesco Cagliari con la collaborazione di diversi altri collettivi come quello di Oristano, Olbia e del Collettivo Universitario Autonomo Casteddu. I motivi che hanno portato i giovani in piazza sono stati molteplici: dal caro libri, al caro trasporti, passando per la carenza di fondi per il diritto allo studio e per lo stato disastroso in cui versano le strutture scolastiche e universitarie. Sono esempi lampanti di ciò gli ultimi avvenimenti accaduti al Liceo classico Dettori di Cagliari, nel quale è crollato un soffitto ferendo due studenti e un’ insegnate, e l’ ormai dimenticata casa dello studente di via Roma.

Nel comunicato del Collettivo studentesco Antonio Gramsci di Oristano leggiamo infatti: «Il nostro obiettivo era raggiungere il palazzo della regione, luogo simbolo nel quale si rintana la nostra classe dirigente parassita e criminale, piena responsabile, con le sue precise scelte politiche, della catastrofica situazione sociale in cui versa la nostra terra». È stato infatti progettato, nel lungo mese di preparazione del corteo, un vero e proprio “Assedio” come si legge in modo molto esplicito nelle locandine e nei diversi comunicati usciti prima del 22. L’obiettivo della giornata è stato dunque individuato nella sede del Consiglio regionale di via Roma

E così è stato. Da una parte e dall’ altra. Il racconto di Luca, infatti, continua così: A passo lento avanziamo verso la celere già dispiegata e pronta alla mattanza. Al contatto con i loro scudi davanti a noi si presentavano visi disumani colmi di rabbia e rancore verso chi chiedeva diritti e per chi poteva essere loro figlio. Da altre testimonianze emerge inoltre che quasi tutti i componenti del reparto schierato davanti agli studenti era composto da celerini che ridevano delle manganellate e da uomini che hanno “menato” tanto forte da mandare 4 ragazzi all’ ospedale. Secondo ciò che dice il Collettivo Studentesco Antonio Gramsci, pareva che la celere fosse formata “da uomini che non vedevano l’ ora di sfogarsi”.

Tra i ragazzi che sono stati costretti a ricorrere alle cure mediche c’è Luca, al quale è stato riservato un trattamento particolare da parte del Dipartimento Investigativo Governativo Operazioni Speciali (D.I.G.O.S.) : “Come altri, dopo l’ennesima manganellata al capo sono crollato a terra, privo di sensi. Lasciai la mischia barcollando, aiutato da chi come me era lì per i propri diritti, e sentivo che le forze mi stavano abbandonando. A quel punto e in quelle condizioni vengo fermato da due individui in borghese e presumibilmente della Digos, che mi intimarono il fermo. Spaventato dalla situazione, accelerai il passo ma dopo le svariate minacce verbali ricevute decisi di fermarmi.”

Il racconto non termina qui, anzi: “Dopo il mio fermo è successo il fatto più vergognoso e disumano. Mi raggiunsero e, non contenti, il primo mi diede un pugno al viso, il secondo, una volta arrivato, si avvicinò e subito mi sferrò un pugno alla bocca dello stomaco.”

La testimonianza di Luca non è che uno dei momenti peggiori di ciò che è successo il 22 Novembre a Cagliari. Infatti è solo uno dei tanti ragazzi che, stanchi di non essere mai ascoltati, stanchi di essere minacciati ogniqualvolta si voglia manifestare un dissenso, stanchi di vivere in una società dove lo studente e i giovani vengono considerati come l’ ultima ruota del carro, si è trovato davanti a una reazione spropositata da parte della celere e di altri reparti speciali delle “forze dell’ ordine”.

«Non un passo indietro. Ci vogliono in ginocchio, noi ci solleviamo», si legge nel comunicato di uno degli organizzatori, il Casc. Sono queste le parole d’ordine che gli studenti porteranno avanti durante la lotta al potere dei prossimi mesi e forse, proprio questi due slogan, insieme alla presenza massiccia dei giovani in piazza, hanno spaventato le forze dell’ ordine. Solo questo potrebbe giustificare la loro reazione, tanto spropositata quanto indiscriminata, davanti a un corteo “armato” di ombrelli e uova ripiene di vernice, ma con una determinazione molto superiore delle loro manganellate.

STORIE DI VITA PENDOLARE

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Il pendolarismo è indubbiamente un fenomeno che riguarda moltissimi studenti universitari e che influisce pesantemente sui ritmi di vita e di studi . Spesso la scelta risulta essere quasi obbligata, sia perché le condizioni economiche della propria famiglia non permettono di sostenere le spese di un affitto a Cagliari, che secondo la media risulta essere di circa 215 euro al mese, più le eventuali spese, sia perché i servizi Ersu, che dovrebbero essere in grado di soddisfare le esigenze e i bisogni di questi studenti, di anno in anno vengono continuamente definanziati (quest’anno il numero di idonei non beneficiari arriva a toccare il 50%). E per chi magari pensa di poter sostenere le spese di una vita da studente a Cagliari attraverso piccoli lavoretti , ecco che si ritrova vittima di lavori malpagati, scarsamente qualificati e intermittenti.

 

Qui sotto è presentato il racconto di Gavino, che partendo dalla descrizione della condizione economica della sua famiglia, arriva poi a descrivere la qualità dei trasporti e le problematiche legate alla sua condizione di pendolare.

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Il nesso tra accreditamento e riproduzione nella creazione del debito studentesco

Le parole di uno studente sull’imporsi del debito a partire dalla selezione universitaria

Un’ipotesi di conricerca, incontro e costruzione di lotta partendo dai test d’ingresso.

Cosa significa parlare di indebitamento studentesco? Per il futuro prossimo possiamo ragionevolmente prevedere la sopravvivenza – sebbene in forma sempre più sottofinanziata e monetizzata – degli istituti tradizionali di beneficio per il diritto allo studio (borse, alloggi, ristorazione, agevolazioni nella tassazione etc.) in favore dei “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”. Eppure, accanto alla spettralizzazione del welfare, si scorge avanzare un complesso di dispositivi sempre più invasivi di finanziarizzazione dell’auto-garanzia della formazione e della possibilità della formazione.

La dicotomia diritto/possibilità alla/della formazione articola una segmentazione interna a una medesima composizione, al fine di estrarre plusvalore direttamente dalla riproduzione sociale della stessa composizione. Agiscono infatti due processi opposti e complementari di valorizzazione capitalistica, nella fabbrica cognitiva: la produzione e la riproduzione di soggetti formati, ovvero l’investimento su un capitale umano e la sua rendita. Il primo è garantito come un diritto sub conditione dimostrando merito, crediti maturati alla mano; il secondo è un accesso – come una possibilità – a un circuito di valorizzazione comunque limitato.

Si tratta infatti di moltiplicare gli sbarramenti. Creare artificiosi debiti formativi significa creare e alimentare un sistema dell’accreditamento continuo al quale viene legata la possibilità della riproduzione materiale della propria condizione. Per continuare a studiare e colmare il debito formativo si finisce per indebitarsi concretamente. In questo passaggio, nel nesso tra accreditamento e riproduzione, si produce, in maniera coatta, una soggettività indebitata. La riproduzione è funzione dell’accreditamento e può esser soddisfatta solo da un indebitamento materiale.

I test non selettivi per i corsi di laurea triennali non a numero a chiuso – altro capitolo analogo andrebbe aperto sui test dei corsi di laurea a numero chiuso – rispondono esattamente a questa logica. Se non superati i test impongono inoltre l’iscrizione d’ufficio al tempo parziale. Si tratta di un altro meccanismo di disciplinamento dei tempi di studio e di lavoro: uno sbarramento che rinvia, entro una misura ad hoc, il traguardo dell’accreditamento affinché l’ateneo, nella sua “contabilità”, non si trovi con troppi “fuori corso”, risultando in questo modo “non virtuoso” e dunque non beneficiario della ripartizione della parte premiale del fondo di finanziamento ordinario statale.

Ecco gli effetti concreti, sulla materialità delle nostre condizioni, delle politiche d’impoverimento dell’università. Altro che una nominale “difesa della cultura”, verrebbe da dire…

* * *

Discutendo con Thomas – vent’anni, studente di Lingue a Cagliari – abbiamo potuto rintracciare, attraverso una storia concreta, la materialità di uno di questi processi di indebitamento e dei dispositivi connessi.

Racconta Thomas: “io ho maturato il debito al test d’ingresso per quanto riguarda tedesco e la risposta che mi è stata data dalla segreteria o dalla docente – non mi ricordo – è stata che essendoci stati pochi studenti ad aver conseguito il debito in tedesco al test d’ingresso non valeva la pena fare i corsi di recupero. Quindi è stato deciso che, per recuperare questa materia, lo studente avrebbe dovuto superare l’intero esame (linguistica, lettorato e orale)… non avendo però passato una parte mi sono ritrovato nella situazione di merda in cui quest’anno non riceverò la borsa di studio e probabilmente se non passerò il prossimo appello dovrò rendere i soldi dell’intera borsa di studio dell’anno passato…”

Si ha a che fare con un meccanismo di accreditamento infinito e artificioso: si attribuisce un debito ma si impedisce di colmarlo, non attivando specifici corsi di recupero. Non solo, i corsi di recupero vengono sostituiti con un esame del normale percorso accademico, ingenerando la palese contraddizione per la quale, pur dichiarando gli studenti “non idonei” e in debito formativo, si pretende di fargli colmare il debito accreditandosi regolarmente, conseguendo i crediti formativi di un esame. Da questa contraddizione il carattere puramente fittizio del “debito formativo”, il suo carattere strumentale.

Questo meccanismo infatti diventa complementare a un’inclusione differenziale, un accesso su un piano di principio e di diritto garantito universalmente, ma in realtà limitato e regolamentato da dispositivi di controllo (i test) ed esclusione attraverso la moltiplicazione degli sbarramenti imposti (accreditamento costante in percorsi curricolari ed extra-curricolari).

La complementarietà tra accreditamento e inclusione differenziale si stabilisce su un governo emergenziale del sistema delle garanzie sociali: la mancanza di investimenti e di manutenzioni nelle strutture diventa l’alibi perfetto per imporre ricattabilità e ulteriori sbarramenti. Entro queste dinamiche viene inscritta anche l’esperienza di Thomas.

“io e un mio amico”, prosegue Thomas, “eravamo nella stessa situazione: aspettando i ripescaggi ERSU ci siamo ritrovati, con la chiusura della casa di via Roma [ennesima chiusura della struttura, in questa occasione a causa di perdite nel sistema idrico, ndr] a doverci cercare una camera in affitto. Oltre il danno anche la beffa, perchè abbiamo dovuto cercare la casa entro il 1° dicembre – per non perdere la borsa di studio – ed era già metà novembre.”

Lo stato di abbandono delle case dello studente di Cagliari, nel quadro complessivo di dismissione del welfare studentesco, si traduce, nei processi di indebitamento del precariato giovanile in formazione, in una precisa scelta politica che soddisfa una compatibilità di fondo con un mercato degli affitti gonfiato a dismisura dall’ingente numero di appartamenti e stabili sfitti. 170 euro per un posto letto in una camera doppia in un umidissimo seminterrato del centro storico, così si quantifica l’impoverimento giovanile.

La mancanza di reddito indiretto – servizi, tutele, etc. – dev’essere colmata con una fonte di reddito diretta: un lavoro qualsiasi, in nero, una serata ogni tanto. Thomas ora sta “lavorando all’ippodromo come cameriere per 30 euro a serata”. Anche questo un impiego parte dei progetti per il rilancio dell’occupazione giovanile della Regione? Non neghiamo ci sia una parentela: la stessa produzione di precarietà.

Su questi soldi, buoni giusto per coprire l’affitto, grava sempre però lo spauracchio del debito formativo da colmare, pena l’indebitamento materiale con l’ERSU: “a breve avrò un esame e solo con l’esito positivo di questo potrò tenere i soldi. Il lavoro me lo sono dovuto cercare… anche perchè se l’esame va’ male devo rendere i soldi!!!”.

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Bisogna riprendere in mano la domanda iniziale. Cosa significa indebitamento studentesco? Non possiamo accontentarci di una lettura sociologica. Sappiamo bene che il mondo della formazione si ristruttura sempre più in un processo ad alta valorizzazione capitalistica profondamente diversificato al suo interno. Se mantiene, in via di principio, una vocazione all’inclusione universalistica (perché senza saperi diffusi e condivisi non c’è riproduzione sociale e dunque possibilità di estrarre da questa plusvalore) allo stesso tempo il controllo sulle forme della valorizzazione sociale, sulla nostra formazione dunque, si esercita con l’imposizione di dispositivi di disciplinamento materiale quali la precarizzazione delle condizioni di riproduzione del proletariato in formazione e il suo indebitamento. Non serve controllare le statistiche sull’interruzione dei percorsi formativi alla laurea di primo livello per capire come tutto questo conduca, in termini quantitativi, a fenomeni di “esclusione differenziale” più che di inclusione.

Allora questo genere di domanda – che cosa significa per noi indebitamento studentesco? – deve aggredire le nostre esperienze soggettive articolando da queste un metodo che ci permetta, rintracciando i singoli processi, di ricomporre e sviluppare socialmente la potenza dei soggetti impoveriti, di affermare comunemente le loro istanze i loro bisogni, le nostre istanze i nostri bisogni. Dobbiamo ripartire dai rapporti concreti in cui siamo presi per iniziare a ragionare comunemente su come sottrarci all’impoverimento, negarlo e nel conflitto riprenderci spazi, reddito e ricchezza.