Un’intervista alle donne dell’associazione Sant’Elia Viva
In Sardegna l’emergenza abitativa sta diventando sempre più un problema reale, molte le persone che non sono in grado di pagare l’affitto e sono dunque sfrattate dalle loro abitazioni (secondo i dati provvisori del Ministero degli Interni, usciti nel febbraio 2014 e riferiti allo scorso anno, solo in Sardegna sono 302 gli sfratti per morosità, di cui 151 quelli eseguiti). Di fronte a questi dati, molti, non avendo un reddito adeguato a sostenere un affitto, scelgono la via dell’occupazione, ormai una pratica sempre più diffusa non solo in Sardegna. A ciò ha deciso di rispondere alcuni giorni fa il Governo Renzi, attraverso la nuova Legge sul “Piano Casa”, che rappresenta un vero e proprio atto punitivo nei confronti delle centinaia di occupazioni presenti in tutto il paese[1]. Questi sono stati i motivi che ci hanno portato ad approfondire il tema dell’emergenza abitativa, focalizzando la nostra attenzione su quello che succede nella nostra città, Cagliari. Come Collettivo Universitario Autonomo abbiamo quindi avuto la possibilità di entrare in contatto con l’ Associazione culturale Sant’ Elia Viva, un gruppo di donne che ha deciso di combattere nel loro quartiere, Sant’ Elia, sia questo problema che tanti altri, mostrando una grande determinazione. Per questi motivi abbiamo deciso di approfondire il rapporto con loro e a dare voce ai loro gesti e alle loro parole.
Com’è nata la vostra associazione? Quali sono stati i passaggi dalla nascita sino ad oggi? Qual è la vostra prospettiva futura?
«Il nostro gruppo non è nato come associazione. Inizialmente, nel 2012, eravamo un Comitato di quartiere, che però non avendo idee precise sul suo futuro non andò avanti. Successivamente pensammo di attivare un movimento, il quale da subito è stato affiancato da svariati personaggi politici che per quasi un anno ci hanno usato per i loro convegni, per le loro campagne elettorali e per i loro giochi di potere. Questo tipo di relazione rovinò ogni tipo di rapporto, in particolare con gli uomini del gruppo, finché non decidemmo di allontanare le persone che ci stavano usando e di costituire noi un’associazione, composta da 13-14 donne.
La mentalità maschilista purtroppo non ha aiutato la storia della nostra associazione: ci sentivamo chiedere, infatti, dove potessero arrivare “quattro sceme”. Ma come avete visto, dove siamo arrivate noi, loro non ci sono arrivati.
Da quel giorno abbiamo iniziato a lottare per riprenderci quello che tutti, dai sacerdoti ai politici, ci stavano togliendo piano piano. Poi arrivò la questione degli sfratti: la difesa del diritto dell’essere umano e delle persone disabili del nostro quartiere ad abitare dignitosamente ci ha portato ad affrontare anche questa situazione.
Purtroppo, però, dopo tutte queste vicissitudini il problema rimaneva e rimane un altro: il quartiere “esti sgheddau” [ndr. è rimasto scottato], è deluso, nessuno crede più a nulla e ci vorrebbe un po’ di convinzione. Per provare a risolvere questo problema ci siamo impegnate a ripristinare la festa di quartiere, allacciando i rapporti anche con le altre associazioni presenti: quella cattolica, quella dei pescatori e quella degli anziani. Quando riuscimmo a riorganizzarla, senza nessun tipo d’interesse economico personale, fu uno schiaffo morale per tutti coloro che non avevano fiducia in noi.
In questi anni abbiamo collaborato anche a qualche progetto cittadino: per esempio l’anno scorso abbiamo partecipato al cortometraggio “Piccolo Caos- Sant’Elia viva! Melodramma in 3 atti”, inoltre abbiamo collaborato con il progetto fotografico di Gisella Congia “Donne oltre confini” e molte altre associazioni ci contattano per svariati tipi di collaborazioni.
Ancora, ci attiviamo per sollecitare assessori regionali e comunali: l’altro giorno, ad esempio, siamo andate dall’ assessore comunale alle politiche sociali, dal quale siamo state subito ascoltate, per la riqualificazione di un giardinetto per bambini. La costituzione di una area cani e la disinfestazione sono i prossimi due passi da effettuare.
La nostra è un’associazione culturale, ma non è solo questo: a noi interessa la tutela dei diritti, vogliamo quello che ci spetta.»
Oggi, ma soprattutto in altre occasioni, abbiamo notato che vorreste occuparvi anche della questione scuole. Come intendete muovervi in questo senso?
«Noi abbiamo tutte le scuole chiuse, l’ultima che doveva essere restaurata è stata presa in gestione dal nuovo sacerdote e dalle suore; un’altra è stata chiusa dopo il restauro; abbiamo una scuola elementare e una media ma con pochissimi iscritti. Addirittura è a rischio la scuola materna. C’è del menefreghismo prima di tutto da parte di chi lavora all’interno delle strutture: alcuni professori (non tutti) hanno sempre percepito lo stipendio senza aiutare i ragazzi, ma anzi, creando un rapporto conflittuale con loro.»
Qual’ è il vostro rapporto con il quartiere?
«Le persone che stanno qui non hanno tutte, come era stato scritto dall’Unione Sarda, dei carichi penali sulle loro spalle. Ci sono soprattutto le brave persone, gente che lavora, che “paga le cose che deve pagare”, le quali però sono abbandonate a se stesse. Qui a Sant’Elia è una battaglia: i problemi ci sono in ogni quartiere, solo il nostro è ormai marchiato. Per esempio, succede molto spesso che si trovino motorini rubati, ma la maggior parte delle volte vengono portati da persone esterne al quartiere. Altro esempio è la presenza di una discarica nella spiaggetta antistante il Lazzaretto la quale è stata creata da persone estranee, che vengono qui da noi e scaricano delle cose, talvolta anche in buone condizioni, e se ne vanno. Come associazione, vorremo combattere il pregiudizio che il nostro quartiere non riesce a togliersi di dosso.»
Tocchiamo ora il punto degli sfratti e dell’emergenza abitativa. Quali sono le condizioni delle case? Che analisi vi siete fatte sulla situazione e sulle responsabilità delle istituzioni?
«Noi individuiamo i responsabili della situazione abitativa in A.R.E.A. (Azienda Regionale per l’Edilizia Abitativa), le nostre case fanno “comodo”, perché loro ci “mangiano” sopra. Nel 2010 ci sarebbe dovuta essere un’azione di restauro e riqualificazione di tutto il quartiere, ci promisero dei piloni nuovi per i palazzi e tante altre migliorie. I lavori non sono mai stati terminati, non si sono degnati neppure di fare le rifiniture per la messa in sicurezza dei palazzi: per esempio, le fioriere collocate sopra i balconi dei palazzi sono stati rimossi per motivi di sicurezza e mai più ricollocati, al loro posto sono state installate delle reti metalliche, le quali, ovviamente, non sono sicure per nessuno. Quando abbiamo denunciato questa situazione, sottolineando che c’era un grave pericolo per i nostri bambini, la risposta è stata: “i bambini teneteveli dentro”. Non sono mai venuti a sistemarci un tubo, ci piove sulla testa, gli ascensori non funzionano e gli anziani non possono uscire dalle abitazioni. Questo è l’ operato di A.R.E.A. I soldi regionali ci sono, son partiti con un finanziamento di 17.000.000 euro, ma la maggior parte dei soldi sono spariti e loro non sanno come rispondere.[2]
La situazione burocratica non aiuta, e il menefreghismo di chi lavora all’interno di queste istituzioni non è da sottovalutare. I soldi per i restauri ci sono, ma nonostante ciò abbiamo dovuto seguire per settimane gli ingegneri, che avrebbero dovuto occuparsi dei lavori, senza ottenere nessuna risposta.
Purtroppo il loro intento è molto chiaro: assegnano la casa occupata da una persona del quartiere a un esterno, l’esterno ovviamente non trova le condizioni ottimali per restarci e la rifiuta. Successivamente la casa viene riassegnata a un abitante del quartiere, scatenando una guerra fra poveri senza fine.»
Durante gli sfratti abbiamo notato una scarsa partecipazione da parte dei giovani del quartiere. Qual’è la situazione giovanile nel vostro quartiere? Qual’è la relazione tra le condizioni di precariato esistenti e i giovani?
«I politici che vengono qui solo per la campagna elettorale dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza, la loro intelligenza e le loro tasche dovrebbero essere messi al servizio dei centinaia di bambini che non hanno nessuna colpa di quello che sta succedendo. Qui è stato chiuso anche l’oratorio, mentre la riapertura della struttura del Lazzaretto è stata affidata a una cooperativa. Ma mentre quest’ultima gestisce una ludoteca a numero chiuso, l’oratorio rimane aperto solo per le suore e i loro amici e non per i bambini del posto. L’arrivo del nuovo prete ha chiuso quel poco che esisteva nel nostro quartiere: dal corso di chitarra a quello per imparare a usare il computer. Hanno chiuso tutto, non sappiamo più a chi affidare i nostri bambini mentre andiamo a lavorare, i soldi destinati a questi servizi ci sono ma non vengono spesi: sembra quasi che ci sia un boicottaggio nei confronti del nostro quartiere. I nostri giovani stanno fuggendo da questa realtà, ci vogliono lasciare soli. Inoltre la forte presenza di ragazze madri molto giovani non è supportata da alcuna struttura: la maggior parte di loro ha difficoltà a trovare un lavoro perché non sanno a chi lasciare il proprio bambino. Qui ormai c’è solo desolazione e diventa pericoloso per i bambini, che spesso e volentieri si ritrovano a entrare in un mondo che non gli appartiene. Molti sono anche diplomati, ma in pochi sono rimasti qui a vivere. Quando ti rechi nei posti di lavoro, solo il fatto d’essere di Sant’Elia ti fa partire svantaggiato, ma ciò avviene anche nelle scuole. Ci fanno capire subito che valiamo meno di una persona che abita a Cagliari, ci sentiamo esclusi e poco considerati. Anche il quartiere, sentendosi in questo modo, non ha più fatto nulla e si è lasciato andare. Il nostro scopo è quello di ottenere una sede legale e costituire delle cooperative che formino e garantiscano lavoro attraverso corsi di formazione senza l’aiuto di cooperative esterne al quartiere.»
Come si può osservare dall’ intervista, le donne dell’associazione Sant’Elia Viva mostrano una fortissima determinazione nel provare a trasformare il loro contesto e tutti i problemi ivi presenti. Ma, in particolare, provano a scrollarsi di dosso il clima di pregiudizio che da sempre accompagna gli abitanti del quartiere. Un clima che poi li costringe ad un isolamento profondo rispetto al resto della cittadinanza cagliaritana. In questo isolamento hanno vita facile situazioni di totale disinteresse da parte delle istituzioni competenti che, come ad esempio A.R.E.A., invece di risolvere i gravi problemi abitativi del quartiere decidono di lasciarli all’incuria, ricordandosi di Sant’Elia solo quando ci sono da eseguire degli sfratti.
[1]In particolare ci riferiamo all’art.5, che dice testualmente “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza ne’ l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.” Sempre nella stessa legge successivamente si dice che “Chi occupa abusivamente una casa non può partecipare a procedure di assegnazione di alloggi IACP per cinque anni”.
[2]Secondo un articolo pubblicato da Sardinia Post il 29 aprile 2014, i soldi che A.R.E.A ha deciso di investire per il Biennio 2014-2016, ammontano precisamente a 117.893.676 euro. Su questa previsione di spesa la nuova giunta regionale ha deciso di vederci chiaro, rilevando che “la programmazione finanziaria non indica gli obiettivi strategici per la gestione dell’Azienda nel triennio 2014/2016” e non sono “segnalate le azioni da porre in essere per il raggiungimento degli stessi obiettivi attesi”. Inoltre l’11 novembre 2013 erano stati sospesi i termini per l’approvazione del Consultivo 2011 da parte dell’ex-assessore alla Programmazione Alessandra Zedda, mentre l’agenzia risulta essere in ritardo di cinque mesi sull’approvazione del Consultivo 2012. A fine maggio è atteso il primo verdetto: il rischio è il commissariamento a causa delle “reiterate violazioni” e delle “gravi irregolarità omissive e contabili”