Ieri, 21 marzo, si è tenuta la primavera dell’università, manifestazione lanciata a livello nazionale dalla conferenza dei rettori. L’intenzione della CRUI “Conferenza dei Rettori delle Università Italiane”, promotrice della manifestazione nazionale, era quella di lanciare un allarme sui pesanti tagli di cui è vittima l’università Italiana.
Infatti, ai forti tagli alla ricerca e al sistema universitario, si aggiunge il nuovo sistema VQR di valutazione degli atenei, da cui dipende l’assegnazione dei fondi ordinari. Perciò la valutazione avviene con dei sistemi che tendono a favorire gli atenei del nord, già forti e competitivi a discapito di quelli del sud che da anni sono stati abbandonati al loro destino.
Questa situazione viene denunciata da anni da tutti i movimenti sociali, che ogni giorno ribadiscono la contrarietà a queste riforme degradanti per il sistema universitario. Oggi incredibilmente la CRUI e alcuni baroni dell’università, che mai hanno osato esporsi nella vicenda, divengono paladini del diritto allo studio.
Ci dobbiamo ricredere sul loro conto?
Quello che abbiamo davanti è un assurdo contraddittorio, che sa tanto di doppio gioco. Infatti se da un lato i rettori invocano lo sciopero e si rivolgono al governo elemosinando gli spiccioli, nei fatti stigmatizzano e contrastano le proteste degli studenti. I reali obiettivi della CRUI sono molto chiari nelle parole del suo presidente, il rettore Manfredi della Federico II di Napoli che parla di:
- Necessità di lauree professionalizzanti
- Aumentare le potenzialità relazionali fra atenei e mondo economico
Nella chiamata generale alla mobilitazione invece si parla di:
- Aumentare la competitività internazionale
- Eliminare le norme bizantine che rallentano l’università
Ecco quindi delinearsi l’intenzione dei Baroni: attaccare il sistema, per favorirlo. Un controsenso? Il senso invece esiste, cioè quello di trasformare le università in grosse aziende, in cui i rettori divengono dei super Manager della finanza universitaria. Un mondo in cui la produzione del sapere è sempre subordinata alla produzione economica a favore dei grandi industriali. Quindi smantellare le facoltà umanistiche a favore di quelle scientifiche che producono ricchezza per i soliti noti e magari nuove tecnologie per la prossima guerra in Medio Oriente.
A Cagliari al corteo mattutino erano presenti pochissimi studenti ma una marea di professori, qualcuno che ci crede, qualcun altro visibilmente preoccupato per il posto di lavoro. Il tutto termina nel palazzo del comune, così, quasi sottovoce, i rappresentanti degli studenti parlano alle istituzioni, invece che alla città. Pochi sentono quel che vien detto, molti applaudono senza sapere il motivo, solo una certezza: il sorriso del sindaco e della rettrice che sembrano soddisfatti da una giornata di “pacifica” protesta.
Il tutto è proseguito nel pomeriggio con una conferenza nella prestigiosa aula magna del rettorato. I primi ospiti chiamati ad inervenire sono due docenti che analizzano dettagliatamente la situazione in cui versano le università italiane, specialmente quelle del sud. I presenti, principalmente professori e qualche rappresentante, plaudono alla lagnanza. A seguire un piccolo intervento dell’assessore regionale al bilancio Paci che elogia le politiche regionali sul diritto allo studio, con una dialettica volta a far sembrare gli spiccioli che la regione mette a disposizione per l’università un grande tesoro.
La conferenza, che doveva parlare dei problemi dell’università, si sarebbe dovuta concludere con l’intervento di Alberto Scanu, presidente di Confindustria Sardegna con vari progetti di speculazione energetica all’attivo nella nostra isola, chiamato a parlare del rapporto tra l’Università e i privati.
Viviamo in un sistema universitario in cui la soluzione che viene proposta al definanziamento statale dell’università è sempre quella dell’ingresso di capitali privati negli atenei, con la conseguenza di una limitazione della libertà dell’università come luogo di produzione di conoscenza slegata dal profitto. Noi non ci stiamo, abbiamo tentato di interrompere questa farsa esponendo uno striscione con scritto “No all’Università-Azienda, fuori Confindustria” e chiedendo di intervenire. Il tentativo è stato drasticamente interrotto dalla rettrice e da alcuni docenti che armati di microfono e sicuri del loro posto di lavoro, hanno coperto le voci del dissenso.
La giornata del 21 appare come la morte della protesta e la rinascita della stessa sotto forma di chimera. Infatti in molte città italiane, ad accompagnare le lagnanze sul declino dell’università, c’è stata l’onnipresente Confindustria. Essa ha portato a Cagliari come negli altri posti la solita tiritera sulla necessità di collegare l’università all’impresa. Questi noti criminali della finanza lavorano ogni giorno per distruggere il vero ruolo dell’università: quello di creare sapere critico e far si che esso sia usato per costruire una realtà migliore.
Per questo non possiamo che condannare i rettori, che se veramente pensano ad un’università libera dai vincoli del mercato, dovrebbero portare insieme agli studenti un blocco totale della macchina universitaria. Un blocco che abbia come obiettivo quello di mettere in luce le contraddizioni del sistema ed individuare i veri nemici: il Ministero dell’Istruzione che continua a portare avanti politiche di tagli serrati mentre il governo continua investire miliardi in macchine da guerra, il PD e gli altri partiti che portano avanti politiche di smantellamento dell’università pubblica e Confindustria e tutti gli industriali che tutto vogliano meno che il bene dell’università e del territorio!
PER QUESTO DICIAMO: BASTA DOPPI GIOCHI! BLOCCHIAMO TUTTO!