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In data 19 settembre 2012 si è svolta la seconda Assemblea contro la chiusura delle case dello studente di via Roma e di via Montesanto.
La discussione, iniziata portando ancora una volta alla luce la condizione di disagio in cui si trovano gli studenti delle case, dei borsisti, degli idonei non beneficiari, ha fatto emergere nuovi punti, come la ulteriore precarizzazione dei servizi di portierato e multi-service e il pagamento dei test d’ammissione alle lauree triennali e magistrali, che vanno a intaccare reddito e garanzie studentesche.
L’assemblea, per la sua eterogeneità, ha mostrato nella sua composizione i molteplici caratteri della condizione studentesca: da chi è interessato in prima persona dalla chiusura delle case a chi da semplice studente non borsista sente comunque il precaricazzarsi della propria condizione. Emerge il sentimento comune di chi è stanco di subire l’impoverimento causato dai sacrifici richiesti per le cosiddette politiche anti-crisi. I soldi ci sono e li vogliamo subito.
Alla luce di questi punti si è deciso di costituire un’assemblea permanente per un percorso di lotta che generalizzi le istanze dei borsisti a tutto il precariato sociale giovanile e che ponga come unica rivendicazione comune la totale riappropriazione del welfare studentesco.
RIAPPROPRIAMOCI DI CIÓ CHE È NOSTRO!
Esprimiamo grande solidarietà ai lavoratori dei servizi esecutivi dell’Università di Cagliari, da ieri in mobilitazione.
L’esternalizzazione dei servizi da parte dell’Università pubblica si traduce nel peggioramento della qualità degli stessi e delle condizioni lavorative dei dipendenti coinvolti. Infatti la logica con cui questi servizi sono appaltati mira esclusivamente al rientro in bilancio dettato dal processo di aziendalizzazione dell’Università pubblica. Cosa comporta un’aziendalizzazione in un settore delicato come l’istruzione? Un settore che dovrebbe garantire un’alta qualità di formazione privilegia il proprio rendimento economico a scapito dei servizi offerti a noi tutti. Non siamo più disposti a tollerare la svendita di servizi universitari che ci appartengono e vedere soldi che ci spettano andare al miglior offerente che porta allo sfascio completo di un servizio pubblico fondamentale per tutti. L’aziendalizzazione non comporta solo uno scadimento nella formazione ma anche la precarizzazione delle condizioni lavorative, con una mancanza di continuità nel rapporto di lavoro, ovvero a una mancanza di reddito adeguato, condizione indispensabile per poter pianificare una vita dignitosa presente e futura.
L’Ateneo cagliaritano, il “Magnifico” rettore e gli annessi apparati decisionali ci danno un chiaro esempio del servile adeguamento alla politica dell’austerità. Ecco come: gli impieghi di portierato e multiservizi sono stati esternalizzati attraverso una gara d’appalto al ribasso il cui unico criterio di aggiudicazione è il “prezzo più basso” (guardare il bando, vedere per credere! ).
Il bando di gara viene necessariamente riproposto ogni due anni in quanto non soggetto a possibilità di rinnovo; questo comporta una condizione di assoluta precarietà dei lavoratori che ogni due anni si devono confrontare con condizioni dell’erogazione del servizio sempre diverse. Il gioco del bando al ribasso è stato vinto da una società che ha offerto sul piatto una somma inferiore del 30% circa rispetto alla commessa di partenza. L’azienda, per soddisfare le direttive del bando fatto al ribasso, deve necessariamente “riorganizzare” l’orario settimanale (per cui alcuni lavoratori subiscono una riduzione da 40 a 15 ore per settimana) e ridurre la paga oraria che in alcuni casi tocca a malapena l’ammontare di 500 € mensili. Tutto questo è stato reso possibile dalla costituzione ad hoc di “sindacati” che sono dirette emanazioni dell’UNCI (Unione Nazionale Cooperative Italiane), i quali ignorano i vincoli del Contratto Nazionale “Servizi Integrati e Multiservizi”, vincoli che informano il bando di gara indetto dell’Università di Cagliari. Su questa negligenza a quanto pare l’Ateneo ha chiuso più di un occhio, su questa negligenza pende un ricorso.
Le cooperativi vincitrici, SFL (Lecce) e Leader service (Bari), hanno imposto un ricatto ai lavoratori: quello di essere assunti come socio-dipendenti; l’unica alternativa è quella di perdere il posto di lavoro. Cosa significa essere assunto come socio-dipendente? Vuol dire aderire allo statuto della cooperativa che garantisce solamente le tutele di base al lavoratore, senza aver diritto agli ammortizzatori sociali e precludendosi qualsiasi possibilità di muovere eventuali mozioni migliorative per la propria condizione. Inoltre, con questi nuovi contratti, si determina l’interscambio delle categorie attraverso il quale personale non qualificato si trova a dover svolgere mansioni diverse dalle proprie; le categorie normalmente adibite al servizio di portierato si ritrovano di fatto a dover adempiere ai compiti dei multiservizi senza averne le competenze.
Il meccanismo di interscambio tra le mansioni delle categorie contrattuali rivela la contraddittorietà del principio di accreditamento che si vuole metro di valutazione e selezione ma non corrisponde alle effettive richieste del mercato liberista, regolato invece esclusivamente da una competitività a ribasso. Dobbiamo intraprendere percorsi di studio eccessivamente lunghi e di conseguenza entriamo troppo tardi nel mondo del lavoro; questo determina un complessivo assetto di impoverimento sociale, dato anche dall’enorme investimento economico necessario a conseguire qualifiche che prevedono una strada segnata da una selezione dai tratti sempre più classisti. La formazione universitaria ci dà l’illusione di andare a coprire un posto di lavoro altamente qualificato ma il lavoro che ci rifilano, in nome della competitività, ha esclusivamente caratteri dequalificati e dequalificanti nella professione e nel salario. La formazione universitaria è ben lontana dal rispettare il suo ruolo storico di “ascensore sociale”. Ci raccontano ancora possa fornire una qualifica che permetta di accedere in posizione privilegiata al mondo del lavoro, ma nei fatti l’enorme valorizzazione di “capitale umano” prodotta nelle università si traduce, nello stesso mondo del lavoro, in riduzione delle nostre capacità e impoverimento della nostra ricchezza sociale alla quale pretendiamo, invece, venga riconosciuto reddito, dignità e libertà di organizzazione sociale, oltre la scarsità prodotta dalle regole di mercato.
In questi termini riteniamo che questa lotta sia comune e che non possa concentrarsi sulla pura rivendicazione del posto di lavoro, bensì debba essere una lotta capace di mettere in discussione gli assetti generali che regolano lo stesso mondo del lavoro e parta dal rifiuto dei suoi dispositivi di sfruttamento e impoverimento.
Non siamo disposti a subire anche per il portierato dell’Università la lezione d’austerity del Prof. Melis! No, la solita barzelletta non funziona più. Non siamo tutti sulla stessa barca. Melis, non sei vittima dei tagli, sei quello che decide di scaricare il costo dei tagli su lavoratori e studenti. Sei quello che vorrebbe racimolare qualche soldo a scapito del salario e della dignità di centinaia di persone.
Contro l’impoverimento, per 500 euro al mese, le porte dell’Università te le sbattiamo in faccia!
Due case dello studente chiudono per una ristrutturazione improvvisa, anche se le fatiscenti condizioni degli stabili erano sotto gli occhi di tutti da tempo. Un tempo mai utilizzato per svolgere quelli che all’inizio erano dei normali lavori di manutenzione e che ora si sono trasformati in veri e propri lavori di smantellamento e ricostruzione.
La politica dell’impoverimento.
La tendenza, nemmeno tanto velata, replicata nel tempo con le ripetute chiusure per inagibilità della struttura di via Roma, è quella di produrre uno stato emergenziale capace di giustificare politiche di gestione a ribasso sulle tutele sociali speculando, inoltre, sull’allargamento della forbice tra beneficiari e idonei non beneficiari delle tutele al fine di deresponsabilizzare l’ente come soggetto garante del welfare studentesco. L’unica via d’uscita paventata dall’ERSU infatti, in obbedienza a questa strategia di deresponsabilizzazione, consiste nella monetarizzazione svalutata del servizio: accordare 108 euro per mensilità a chi avesse dovuto lasciare il proprio alloggio; con questa elemosina gli studenti sfrattati avrebbero dovuto coprire le spese di un affitto alternativo all’alloggio ERSU. Inutile dire che una cifra del genere fatica a soddisfare anche solo un terzo del costo della vita in città per uno studente fuori sede.
Non solo. Appare evidente come gli strumenti di garanzia collaterale predisposti dall’ente quali il contributo fitto casa, mostrino tutta la loro inadeguatezza e vengano, paradossalmente, fatti implodere dalle stesse politiche dell’ente. Un frangente “d’emergenza” come questo scopre il welfare di cartapesta predisposto dall’ERSU. Si tratta infatti di strumenti spesso e volentieri approntati secondo una logica di complicità e compatibilità con gli assetti di un mercato immobiliare degli affitti in città gonfiato a dismisura dall’ingente numero di appartamenti e stabili sfitti; strumenti privi di una reale base di finanziamento capace di ammortizzare – come scelta politica – l’impoverimento del reddito studentesco causato dalla speculazione immobiliare privata. Piuttosto, al contrario, si tratta di strumenti funzionali ad alimentare questa speculazione.
Governance: due passi avanti, uno indietro, un piede oltre la porta di casa.
Questo il quadro orientativo della politica dell’ERSU. Nessun confronto, nessuna proposta alternativa, nessuna mediazione. Eppure, in quanto siamo coscienti che solo le lotte producono la possibilità del cambiamento, abbiamo iniziato a costruire il nostro “NO” a questa politica. Ma bisogna ora interrogarsi sul carattere di questo nostro rifiuto e su quanto successo nel CdA Ersu del 6 settembre per poterne coglierne la portata politica e la dimensione di crescita strategica.
Sicuramente ci opponiamo in tutto e per tutto alle politiche di impoverimento perpetrate da ERSU e Regione ai nostri danni, ma sappiamo allo stesso tempo che non abbiamo la possibilità di contrattare alcunché. Vediamo crollare meccanismi storici di gestione della “cosa pubblica” che non possono non ridefinire anche le nostre stesse risposte politiche in termini di prospettiva e di organizzazione. Infatti, il controllo delle politiche sociali scivola verso una governance delle risorse scarse la quale prevede un’unilateralità del comando senza interesse alla mediazione, ma non per via di un’improvvisa quanto inspiegabile impennata autoritaria, quanto piuttosto perché si è ristrutturato l’assetto produttivo delle nostre società e dunque le forme del suo governo. Con questo nuovo livello dobbiamo confrontarci nelle nostre lotte.
Gli aggiustamenti della contrattazione, gestiti un tempo da livelli di rappresentanza – il sindacato studentesco e l’azienda, ad esempio – come presunta espressione di un corpo politico costituito da forze sociali diverse ma sinergiche, vengono riassorbiti, senza alcuna dialettica, nella rappresentazione di una virtualità della politica. Si simula nei comportamenti di un solo soggetto – l’ERSU in questo caso – la pluralità degli interessi sociali in conflitto incorporandone però di fatto la decisionalità ultima nel medesimo soggetto – sempre l’ERSU – pseudo garante di quelli che vengono spacciati per “interessi comuni”: comuni – secondo la loro narrazione – a un ente sottofinanziato e a una componente studentesca vittima dei tagli. Non a caso – interiorizzata questa retorica – vediamo il totale appiattimento della rappresentanza studentesca sulle posizioni dell’ente: i rappresentanti di UNICA 2.0 utilizzano la prima persona plurale per riferirsi al Consiglio di Amministrazione dell’ERSU.
Ma la retorica si smaschera. Così, dopo i primi nostri segnali di agitazione, debitamente preventivati e assimilati dalla controparte, abbiamo assistito a questo gioco dell’oca in cui – a differenza dei “classici” – l’ERSU ha prima fatto due passi avanti per poi farne uno indietro pur guadagnando comunque un passo oltre l’uscio di casa nostra per avvisarci dello sfratto imminente.
Il quadro principale, dopo il CdA del 6 settembre, si è dunque così ricomposto “per venire incontro agli studenti”, sebbene questi non fossero stati minimamente interpellati: via Roma resterà chiusa tutto l’anno; gli studenti che vi albergavano saranno ospitati nel College Sant’Efisio e nella Foresteria. Via Montesanto resterà chiusa per ristrutturazioni pesanti fino a gennaio, dopodiché gli studenti potranno farvi ritorno convivendo con il prosieguo dei lavori di piccola manutenzione. L’ERSU assegnerà agli studenti di via Montesanto un rimborso di 200 euro per i mesi di ottobre, novembre e dicembre. Questo rimborso verrà consegnato a dicembre con il primo assegno della borsa di studio. Queste decisioni sono state prese in Consiglio d’Amministrazione senza il diritto di replica da parte degli interessati e senza offrire margini di trattativa nello stesso CdA. O così o niente.
Che l’ERSU comunque realizzi la propria politica, prima sparando alto poi riaggiustando la mira a seconda del nostro umore, risulta un fatto conclamato. Basta osservare l’insufficienza di queste misure – senza neanche indagare ulteriormente le criticità esistenti intorno al Campus di Sant’Efisio, una struttura privata finanziata con soldi della Regione Sardegna, che ad oggi è costata la scandalosa cifra di 8 milioni e 8oo mila euro [sono stati stanziati altri 3 milioni e rotti. Il finanziamento ammonta a circa 12milioni].
Infatti l’ERSU politicamente va all’incasso: la proposta di coprire i tre mesi vacanti con soli 200 euro è altrettanto ridicola della prima proposta che elemosinava 108 euro! Come è possibile coprire i costi di affitto, bollette, gas, condominio con soli 200 euro? Qual è l’affittuario disposto a concedere una stanza in affitto per soli tre mesi? Saremmo costretti a mentire e ad affittare in nero? L’ERSU vuole questo? Probabilmente sì, non disdegnando quel sistema di compatibilità e complicità con il mercato immobiliare di cui sopra. Certo, che noi si corra anche il rischio di non ricevere indietro i soldi della caparra, alla resa dei conti, non è affare dell’ente! Come faranno coloro che versano in condizioni più indigenti ad anticipare i soldi di tre mensilità e della caparra (senza contare le varie spese fisse)? Chi ci assicura che via Montesanto riaprirà realmente a gennaio?
Indietro non si torna. Dalla dismissione del welfare alla riappropriazione.
Tutti i punti della politica di impoverimento sopra delineati (politiche di gestione a ribasso sulle tutele sociali, allargamento della forbice tra beneficiari e idonei non beneficiari, strategia di deresponsabilizzazione, monetarizzazione dei servizi, assenza di proposte alternative etc.) vengono toccati e soddisfatti. Questa finzione della governance – toglierti tutto per poi restituirti qualcosa facendoti però credere di non averti preso nulla ma, anzi, di averti tutelato e garantito – funziona come un vero e proprio dispositivo di disciplinamento dell’insubordinazione sociale contro le misure di impoverimento in tempo di crisi.
Ma, appunto, per poter costruire un nostro “NO” forte, è necessario allora cogliere l’elemento essenziale che sta al fondo di queste politiche, bisogna cogliere la natura della governance in quanto – come detto – interprete dell’assetto produttivo delle nostre società.
Partendo anche e soprattutto dal motore della conflittualità endogena delle classi subalterne, storicamente abbiamo visto saltare il patto storico tra capitale e lavoro che ha retto le socialdemocrazie occidentali novecentesche. Un patto basato sulla subordinazione della forza lavoro sociale al comando capitalistico in cambio delle promesse emancipative di quest’ultimo fatte di istruzione, sanità, trasporti, garanzie sociali etc. Questo storicamente è stata la natura del welfare nelle nostre società, uno strumento animato dall’ambivalenza dell’emancipazione e del disciplinamento.
È necessario interrogarci sulla natura del welfare ora; ora che è saltato il patto che lo ha fondato. La crisi degli istituti classici di rappresentanza, intesi come soggetti titolati a partecipare alla discussione su come organizzare l’attività produttiva e – come nel caso degli enti per la tutela del diritto allo studio – riproduttiva della società dev’essere interrogata partendo dal fatto che non c’è più discussione possibile perché non c’è più possibilità di organizzare entro la cornice dello stato e dei suoi sistemi di regolazione politica della conflittualità, la produzione sociale. Questo intendiamo, a più livelli, per crisi della rappresentanza e fine della mediazione.
Eppure resta il comando sul lavoro sociale, un comando che deve pur produrre profitto. Allora in società dove sempre più la produzione di ricchezza si autonomizza nelle relazioni sociali (capitalismo cognitivo) indipendenti dalla possibilità di un controllo proprietario (perdita di centralità del capitale fisso) osserviamo la tendenziale finanziarizzazione dei processi produttivi e dunque il divenire rendita dei profitti. Creare sbarramenti e privatizzare ciò che è socializzato, sono tutti dispositivi per catturare, artificiosamente, la produzione del lavoro vivo.
Dunque, in relazione al welfare studentesco ma anche alla natura del welfare in generale come “strumento inattuale”, osserviamo, da un lato, una continua erosione degli istituti classici di garanzia sociale, in quanto appunto portato residuale di un patto che non esite più, e pertanto intesi ormai banalmente come spese da tagliare (questo significa austerity, questo significa il sottofinanziamento dell’ERSU). Da un altro lato osserviamo però che il welfare classico trova una sua attualità, ristrutturandosi in tutta una serie di dispositivi che tendono a incanalare le istanze di reddito di un precariato giovanile diffuso o entro meccanismi di indebitamento coatto (vedi le conseguenze dell’aumento degli idonei non beneficiari, oppure, più esplicitamente,l’introduzione sempre più spinta di prestiti d’onore a “garanzia politica”, come il progetto “giovani sì” della regione Toscana) oppure in una risoluzione dei servizi in contributi monetari (il caso del “rimborso” di 200 euro in relazione alla chiusura della casa dello studente è il caso più lampante ma potremmo anche menzionare il fatto che l’affitto del posto alloggio è detratto dalla borsa di studio così allo stesso modo i pasti in mensa).
Rispetto a questo quadro non possiamo tornare indietro. Sappiamo però che la lotta contro questi dispositivi e contro la governance che li impone ha guadagnato per noi una sua dimensione specifica: se nessuna mediazione è possibile non abbiamo che la riappropriazione contro l’impoverimento.
La stagione estiva volge al termine. Volge al termine “La stagione”, l’impiego stagionale di tanti giovani che in Sardegna durante l’estate riempiono le località turistiche della costa – da Villasimius a Pula alla Costa Smeralda – in cerca di un impiego capace di garantire un reddito che possa coprire l’altra stagione dell’anno, quella sfigata.
Si tratta spesso di studenti, magari gli stessi che finiscono “fuori corso” perché impiegati in questo o in quel resort e quindi impossibilitati a sostenere esami nelle sessioni di giugno, luglio e settembre – ah no, giusto, l’Ateneo propone la soluzione di iscriverci come “studenti a tempo parziale” anche se lavoriamo “solo” per tre mesi all’anno, dodici ore al giorno di cui solo sei retribuite.
Si tratta spesso di studenti obbligati a “farsi la stagione” per “potersi pagare gli studi” – una delle tante espressioni logorate dalla frequenza del loro utilizzo ma che si traducono nell’esigenza di racimolare i soldi per poter sostenere nove mesi di affitto e di spese a Cagliari. Poi magari per le tasse si ricorre al welfare creativo di mammai e babbai, sempre che non si risulti “idonei non beneficiari” per insufficienza di fondi anche in famiglia.
Riportiamo un contributo apparso in rete che racconta una di queste vicende. Una storia che abbiamo vissuto più volte. Un neolaureato questa volta.
Vogliamo far circolare e condividere queste nostre storie perché crediamo che la costruzione politica del rifiuto della comune e generazionale condizione di sfruttamento debba passare preliminarmente per il riconoscimento reciproco. Ci vogliono subalterni non solo nelle gerarchie del villaggio vacanze ma subalterni nella produzione sociale in genere, la quale, pur affidata interamente a noi, è retta da rapporti che ci impoveriscono e ci rendono non padroni delle nostre vite. Come abbiamo visto questa continuità possiamo verificarla partendo dall’università stessa. Essa, per i dispositivi di segmentazione che la strutturano e che abbiamo sopra nominato (“iscrizione a tempo a parziale” e “fuori corsismo” per citarne solo alcuni) si configura come strumento principe di regolazione sociale di un’intera generazione precaria.
Ma raccontare non basta. Riconoscersi significa per noi uscire dall’individualità, ricomporre per rifiutare.
C.U.A. Casteddu
Forte Village: una stagione all’inferno.
Alcuni giorni dopo essermi laureato, 3 anni fa, avevo deciso di racimolare qualche soldo e ho pensato di sfruttare il mio brevetto da bagnino al meglio, se non altro per recuperare i soldi del corso e potermi permettere un viaggio con la mia fidanzata o i miei amici.
Fare la stagione come bagnino-facchino non è poi così difficile e si era presentata in breve l’opportunità di lavorare per il Forte Village a Santa Margherita di Pula, poche decine di chilometri da Cagliari.
di Daniele Garzia
Continua la lettura di Forte Village: una stagione all’inferno – Ricomporre la generazione precaria.
4° workshop: “Per un’Università delle lotte,attrezzandoci per il futuro”
Assemblea nazionale di movimento su formazione e reddito, università e metropoli, saperi e conflitto;
Grande partecipazione sono intervenuti tutti sulla situazione attuale e su ciò che si prospetta nel breve periodo, il tema principale è stato reddito/riappropriazione Autoformazione/conricerca… Dopo l’Onda lo slogan “la crisi non la paghiamo” non ha dimostrato la reale capacità del movimento di metterlo in pratica.
Per questo è il momento di costruire in pratica welfare studentesco dal basso… creare dei luoghi in cui coincidano reddito e autoformazione, vedi la casa dello studente torinese verdi 15 occupata.
Da parte del CUA Casteddu abbiamo ringraziato il CUA Torino per l’organizzazione e i valsusini per l’ospitalità. Abbiamo raccontato la composizione delle lotte in Sardegna dall’onda al 15 ottobre fino alle occupazioni No Radar, abbiamo spiegato che siamo in vita da poco ma abbiamo già intrapreso alcuni percorsi : (emergenza abitativa) idonei non benefciari ecc…. Conricerca sul precariato giovanile studentesco…Autoformazione (seminari)… nello sforzo continuo di stare dentro le lotte nel territorio come nel caso del No Radar prima e ora Carbosulcis.
Verso l’autunno!
Ieri notte azione del movimento NoTav all’area archeologica. Tirate giù alcune reti e tagliato filo spinato. La polizia risponde con idranti e lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo.
Il terzo workshop al campeggio sulle “lotte contro il debito nella crisi” ha visto ospite Raffaele Sciortino, ricercatore della Statale di Milano. Assemblea molto partecipato. Si è parlato del ruolo dei media nell’indirizzare le responsabilità della crisi nei confronti della Germania occultandone l’epicentro reale, l’America. Sono emerse una serie di interrogativi politici: quanto può durare l’avanzata dei paesi emergenti e la tregue tra Cina e America?
A livello italiano si prospetta un governo in continuità con Monti.
Il dibattito si è incentrato sul lavoro dei movimenti sulla lotta per il reddito e la riappropriazione sociale. Tanti gli interventi, ancora, non è bastato il tempo per esaurirli tutti…
2° workshop, cultura, formazione, spazi sociali. Assemblea sulle lotte con Casa dello Studente Verdi 15 Occupata (Torino), Zero 81 Occupato (Napoli), Teatro Valle Occupato (Roma), Teatro Garibaldi Occupato (Palermo). Grande partecipazione, oltre cento persone all’assemblea. Ogni spazio ha parlato della sua storia tutti legati dalla riappropriazione degli spazi e dei mezzi di produzione per la creazione di alternativa attraverso autogestione, autoformazione e creazione di welfare dal basso… Il dibattito si è incentrato sul rapporto tra organizzazioni antagoniste e rivoluzionare e le istituzioni. Da subito il confronto si è acceso, così tante le persone a intervenire che non è stato sufficiente il tempo… In nottata azione No Tav alle reti in Clarea: battitura più taglio del filo spinato. Risposta delle forze dell’ordine con idranti e lacrimogeni.
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La “manutenzione straordinaria” che diventa “ordinaria amministrazione”: la chiusura delle case dello studente.
A partire da Settembre 2012 gli studenti fuorisede dell’Università di Cagliari avranno una bella sorpresa: è infatti notizia di questi giorni la chiusura, causa lavori di ristrutturazione, di 2 delle 5 Case dello studente, quella di Via Roma e quella di Via Montesanto. Il calcolo è presto fatto: degli 851 posti letto a concorso disponibili ben 300 verranno cancellati e gli studenti gentilmente invitati ad arrangiarsi e a trovarsi una sistemazione. È l’ennesimo colpo inferto al diritto allo studio per gli studenti dell’ateneo cagliaritano, da sempre alle prese con diritti misconosciuti a causa della mancanza di soldi e di posti. Il meccanismo è ormai noto, lo stesso adottato per giustificare la sgombero della casa di via Montesanto nel recente anno accademico: lasciare in stato di abbandono cronico le strutture per poi dichiararle inagibili e allontanare gli studenti ospitati senza, nel frattempo, preparare alcuna soluzione alternativa. Si proclama uno stato d’emergenza e, sbandierando straordinari interventi, si giustificano chiusure, trasferimenti, ritardi nei pagamenti a spese della popolazione studentesca ormai abituata all’ordinarietà di questi straordinari provvedimenti. Noi tutti sappiamo però che ci sono precise responsabilità politiche e non siamo più disposti a far finta di niente.
Trovarsi ad Agosto con due case dello studente chiuse, senza un progetto di ristrutturazione approvato e conseguentemente, con la prospettiva di vedere procrastinati sine die l’inizio e la fine dei lavori è, non solo un’offesa bensì un dramma per molti studenti, spesso provenienti da zone della Sardegna in ginocchio per una crisi che sembra infinita e senza vie d’uscita, che probabilmente saranno costretti a non iscriversi al nuovo anno non avendo i soldi per potersi mantenere fuori.
Correre ai ripari monetizzando i servizi: vogliamo garanzie e reddito
Dicono che troveranno una soluzione per ogni caso particolare, che nessuno verrà lasciato solo. Ci permettiamo di dubitare fortemente che ciò avverrà. Sono già centinaia gli studenti appartenenti alla categoria degli “idonei non beneficiari” che, pur avendo tutti i requisiti per entrare in una casa dello studente vengono abbandonati a sé stessi e questa ennesima mazzata arriva proprio nell’anno in cui si prospetta l’ennesima riforma universitaria “meritocratica” che altro non è che un premio per “l’impiegato dell’anno” pagato con gli aumenti delle tasse a tutti gli altri.
Eppure la situazione delle case dello studente a Cagliari è nota a tutti, non solo a quei pochi fortunati che ci abitano. Di fronte a più di 30000 iscritti le case dello studente sono solo 5, per lo più fatiscenti e bisognose di urgenti opere di restauro. Di fronte a questo problema vari amministrazioni comunali, regionali, (Magnifici) Rettori, ed ERSU vari fanno a gara a chi la spara più grossa: improbabili college simil-americani da 1.000 posti progettati dai migliori architetti al mondo oppure trasformazione del quartiere di Castello in un immenso studentato. La verità oggi però è solo una: a partire da settembre un centinaio di studenti non sapranno dove andare.
Nel bando ERSU per borsa di studio e posto alloggio 2012-2013 assicurano che “sarà rimborsata la quota in denaro equivalente al valore del servizio alloggio detratta dalla borsa per il periodo di non fruizione della camera”, ovvero verrà rimborsata una quota variabile tra 48 e i 100 euro mensili. Chiunque viva la condizione di studente fuori sede a Cagliari sa bene che una tale cifra non soddisfa neanche metà del canone d’affitto medio mensile in città per un posto letto in una stanza doppia.
Basta aspettare!
Non si illudano però i signori Rettori, direttori e amministatori vari, quest’anno non riusciranno a sedersi ad un tavolo con “sedicenti” rappresentanti degli studenti pronti a farsi intortare dalle scuse più disparate e a raccogliere le briciole pur di tappare i buchi di politiche strutturalmente incapaci di garantire alloggi adeguati per gli studenti borsisti.
Le soluzioni ora le decidiamo noi. Non siamo più disposti a farci sgomberare dalle case, non siamo più disposti a pagare affitti esorbitanti a vederci privati per calcolo e irresponsabilità di quanto ci appartiene. Di quanti stabili sfitti dispone l’Ateneo? E il patrimonio pubblico in svendita a quanto ammonta? Chi abita nel College Sant’Efisio di via Cadello, lo studentato della diocesi costruito con il finanziamento di oltre 8 milioni di euro da parte della Regione? Una struttura da 37 posti letto che ha già accolto, in via stroardinaria, i “profughi” di via Montesanto. Una struttura per la quale si prevede un ampliamento a 81 posti letto a conclusione del primo lotto di lavori e un ulteriore ampliamento successivo, il tutto sempre con i soldi nostri.
Noi non siamo più disposti ad accontentarci, noi VOGLIAMO TUTTO! Perciò – ERSU, Direttore, Rettore – riordinate le stanze degli ospiti e tirate fuori il servizio buono perché o trovate un alloggio per tutti o da Settembre veniamo a dormire a casa vostra!
Collettivo Universitario Autonomo Casteddu
Francesco Profumo si trasforma in Mike Bongiorno:
“allora gentile universitario, cosa sceglie? lascia l’universita’ o le raddoppiamo le tasse.”
All’interno della spending review, la manovra “taglia tuutto” che dovrebbe portare secondo Mario Monti al pareggio di bilancio, spunta fuori tra le tante l’ennessima norma che va a pescare dalle tasche degli studenti delle universita’ italiane. Aumenti per tutti quegli studenti che non finiranno il percorso di studi nei tempi richiesti, aumenti che vanno dal 25% al 100%. Oltre il danno pero’ anche la beffa. Lo studente-lavoratore sara’ esente da questo aumento.
…Alzi la mano lo studente lavoratore che ha un contratto regolare..