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STORIE DI ORDINARIA MERITOCRAZIA

assegnidimeritoL’ ASSEGNO DI MERITO: PARADIGMA DELLO STUDENTE INDEBITATO

 La figura dello “uomo indebitato”, prodotto dei continui tagli alla spesa pubblica da parte dei governi e di un’idea economica cinica e votata all’impoverimento, è quella che maggiormente si è affermata nel panorama sociale degli ultimi 25 anni. All’interno dell’azienda università è lo studente, o in alcuni casi la sua famiglia, a dover fare i conti con l’indebitamento sempre più massiccio che negli anni si è costretti a contrarre per iniziare e proseguire gli studi. I finanziamenti che lo Stato mette a disposizione per risolvere il problema non son sufficienti e, come nel caso degli assegni di merito, diventano una causa che, paradossalmente, acuisce maggiormente il disagio del debito. Gli assegni di merito possono senza dubbio essere presi come un paradigma della condizione dello studente indebitato, di studenti e famiglie che i governi fanno finta di non vedere, dell’impossibilità di essere al contempo virtuoso e meritevole in un sistema nel quale la pressione fiscale riesce ad annullare gli stessi finanziamenti allo studio. Questa è la storia che è successa a Gianmario (nome fittizio), uno tra i tanti ragazzi che, avendo beneficiato dell’assegno di merito, si è visto costretto a modificare le condizioni e il percorso della propria carriera universitaria e di conseguenza della vita stessa.

 

 

Ciao Gianmario puoi raccontarci la tua storia?

« Mah, una storia personale come tante. Sono nato in una famiglia semplice, mia madre casalinga e mio padre operaio, stroncato da un male incurabile ad appena 40 anni; io ne avevo appena 11 e mi sono ritrovato presto a fare l’ometto di casa. Dopo il diploma ho subito iniziato a lavorare come operaio per qualche anno, finché non mi sono iscritto all’Università: da qui ho iniziato a lavorare part-time e a dedicarmi agli studi. Mi sono laureato alla triennale qualche mese fa ed ora sono immatricolato ad un corso di Laurea Magistrale. Ho partecipato al bando 2009-2010 (per gli assegni di merito), al quale sono risultato beneficiario; io ho ricevuto un importo di circa 4000 euro. Il primo anno dell’Università ero matricola e ho ricevuto la borsa di studio ERSU: questo mi ha permesso di iniziare gli studi. Senza la borsa non sarebbe stato possibile iscrivermi perché la vita a Cagliari è cara; la mia famiglia non può permettersi di pagarmi gli studi e con un lavoretto part-time di poche ore alla settimana non si paga nemmeno l’affitto. »

Cos’ha comportato ricevere l’assegno di merito in un clima di continui tagli alle borse di studio?

« Non voglio essere ipocrita: l’anno scorso ero fuori corso e mi ha aiutato per coprire le spese: affitto, pasti, spese per la tesi. Non avevo però considerato una cosa: il fatto che l’assegno vada dichiarato nei redditi e contribuisca all’aumento dell’ISEE della famiglia. Nel mio caso l’ISEE raddoppia, perché mia madre vive con una misera pensione. I tagli hanno influito pesantemente, basta guardare le graduatorie ERSU degli scorsi anni. Quest’anno oltre il 60% delle matricole di I e II livello non è borsista: chi ha un ISEE superiore a 7800 euro non ha diritto alla borsa di studio né alla casa dello studente. Quando si parla di matricole è chiaro che c’è di mezzo l’opportunità di studiare, ossia la possibilità di accesso ai più alti livelli dell’istruzione: se si superano di poco i 7800 euro non si ha l’opportunità. Ma una famiglia con 7800 euro di ISEE difficilmente può permettersi di far studiare un figlio, specie se questo è fuori sede. »

Quali son i criteri di assegnazione che ti hanno estromesso da queste agevolazioni?

« Il criterio è solo uno: il reddito. Se si superano quei miseri 7800 euro di ISEE non si è borsisti. E’ una vergogna, non possono accedere agli studi i figli di un operaio generico, che per conoscenza supera quell’importo. Insomma, per studiare o si è figli di disoccupati (poveri loro) o si è figli di benestanti. »

Il racconto della tua esperienza fa emergere alcune criticità che influenzano negativamente la tua condizione studentesca. Hai provato a cercare qualche risposta dalle istituzioni competenti?

« Mi sono rivolto prima all’ERSU, ma la risposta è stata inequivocabile: hanno tagliato i fondi. »

La classica risposta che negli ultimi anni viene utilizzata dalle istituzioni, che scaricano i costi sociali della crisi sulle persone. Questi tagli, contestualizzando alla condizione studentesca, a Cagliari hanno comportato un taglio drastico alle borse di studio, un aumento delle tasse, una minore disponibilità di posti alloggio e un peggioramento generale offerta formativa.

« Per quanto riguarda il fatto che l’assegno di merito vada inserito nella dichiarazione dei redditi, mi hanno detto che non era compito loro discutere di questo: “andate in regione”. Sono andato in regione, all’Assessorato Cultura e Pubblica Istruzione: mi hanno detto che l’Agenzia delle Entrate considera l’assegno di merito come un reddito assimilato (link), quindi la regione non è responsabile di questo scandalo; mi hanno detto che i criteri per l’assegnazione non rientrerebbero in quelli previsti per le borse di studio (es. ERSU) e che quindi l’importo va dichiarato. Io invece non trovo differenze sostanziali tra l’assegno di merito e le borse ERSU. »

Cos’è cambiato dal punto di vista del reddito, del lavoro e dell’abitazione? Ti sei trovato costretto a rivalutare le tue scelte di vita?

« Mi sono laureato con il massimo dei voti, ma ora rischio di non poter proseguire gli studi. Non ho ricevuto la casa dello studente, non ho diritto alla borsa né ai pasti, insomma devo pagarmi gli studi. Per vivere e studiare a Cagliari, senza nessuna pretesa, servono 500 euro al mese. Per guadagnare questi soldi è necessario lavorare ogni giorno, togliendo tempo allo studio, rinunciando a qualche lezione con un risultato inevitabile: si allungano i tempi di studio e aumentano le tasse, e si entra in un circolo vizioso in cui più lavori, meno studi, più aumentano le tasse, più devi lavorare: non se ne esce più.
Credo che chi ci amministra non sia mai stato nella condizione di studente fuori sede e, se lo è stato, era benestante. »

Cos’avrebbe comportato non dichiarare all’interno del reddito l’assegno di merito? Ti sarebbe convenuto in termini economici?

« Probabilmente una sanzione da parte di Equitalia, si dice, intorno ai 500 euro. Ma pensa quali vantaggi: avrei avuto casa, pasti e borsa.. ne sarebbe valsa la pena. Insomma, se avessi fatto il disonesto avrei potuto proseguire con tranquillità gli studi. »

[ Tale espressione mette in luce la contraddizione che emerge tra gli slogan utilizzati dal governo Monti che, attraverso una spettacolarizzazione della lotta all’evasione fiscale, ha trovato il capro espiatorio della crisi economica e sociale in chi non paga le tasse. In realtà, gli stessi processi burocratici delle istituzioni costringono le persone a non poter sostenere tutti i costi che il sistema – nel nostro caso quello universitario – richiede, se non paradossalmente tramite gli stessi metodi e modalità criminalizzate. ]

« Inoltre, lavorare (in nero) mi preclude, di fatto, la possibilità di concorrere il prossimo anno x l’assegnazione della borsa di studio e il posto alloggio, poiché ho a disposizione meno tempo rispetto agli altri studenti che concorrono per ottenere questi benefici e hanno la possibilità di dedicarsi a tempo pieno allo studio. Arrivati a questo punto, una delle possibilità che stavo valutando era quella di ritirarmi quest’anno e iscrivermi nuovamente l’anno prossimo, eliminando in questo modo il “fardello” dell’assegno di merito. »

Conosci altre persone in questa situazione?

« Conosco tante persone, in situazioni economiche difficili, che non possono studiare per i motivi che ho detto. Ma anche persone non matricole, che hanno raggiunto tutti i crediti previsti dai criteri ersu, peraltro con il massimo dei voti, e che si sono ritrovate senza né casa né borsa: non si dà l’opportunità di studiare né ai poveri e nemmeno ai meritevoli. Assurdo. »

 

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Negli ultimi tempi, attraverso il bombardamento mediatico, siamo stati assuefatti a due retoriche strumentali alle agende politiche:

 

  • GUERRA ALL’EVASIONE FISCALE: se si pagano le tasse e si è in regola dal punto di vista legale con i pagamenti ci si può considerare virtuosi e meritevoli di proseguire la vita universitaria.
  • MERITOCRAZIA: per cui se studi regolarmente allora sarai in grado di ottenere le borse di studio e proseguire la carriera universitaria.

 

La falla burocratica, sembra essere causata da una “mancanza di comunicazione tra le istituzioni”. Ma sino a che punto possiamo definirla in questo modo, dal momento che al loro primo anno l’equiparazione tra assegno di merito e reddito non veniva esplicitata e solo dopo (link) le contestazioni dei beneficiari le istituzioni hanno reso chiaro e ben visibile questo passaggio?

In realtà la “falla burocratica”, la contraddizione tra gli strumenti utilizzati delle istituzioni, mette in luce tre aspetti dell’università-azienda:

1) a dispetto dello smantellamento dell’università, dei tagli alla formazione, vi è la necessità di strumenti, di natura prettamente finanziaria che supportino la bontà e la funzionalità del sistema meritocratico e di aziendalizzazione.

2) l’incapacità di gestire quegli stessi strumenti, capaci solo di produrre competizione e non cooperazione, povertà invece che arricchimento, sia economica del singolo che del sapere collettivo.

3) il tentativo, impossibile sul piano logico, di dare un valore di tipo economico e sociale alla conoscenza.

Ma è realmente possibile misurare la qualità e la quantità del sapere, quando questo è un bene che si produce e accresce all’interno e tramite le relazioni sociali? Può esistere una norma capace di individuare i parametri di valutazione della conoscenza? Chiaramente no, a meno di non considerare l’università un’azienda il cui unico scopo è la produzione di lavoratori indottrinati e lo studio una mera accumulazione di crediti e superamento di esami.

Contestare questo tipo di meccanismi vuol dire affermare un sapere cooperativo e non privato.

Reclamare reddito che sia scollegato dalle logiche del merito significa favorire la produzione comune e dunque la soddisfazione dei desideri e dei bisogni che da essa emergono.

Mense ERSU: il piatto piange!

il-piatto-piange-L-z0gx9nDando un’occhiata alla trasformazione del servizio ristorazione ERSU negli ultimi anni, un dato politico emerge forte e chiaro: aumentano i prezzi, peggiora la qualità.

E’ così infatti che se uno studente di seconda fascia nel 2007 pagava 1.80 a pasto, quest’anno coloro il cui ISEEU (Indicatore della Condizione Economica Equivalente) non supera gli undici mila euro, limite della prima fascia, si trova costretto a dover sborsare 2 euro. Emblema della condizione studentesca, su cui si abbatte l’aumento del costo dei pasti, sono gli idonei non beneficiari, ovvero quelle strane figure che pur avendo diritto subiscono l’apparente carenza di fondi da parte dell’Ente per il Diritto allo studio. Per loro è previsto un massimo di 240 pasti gratuiti esclusivamente nel periodo delle lezioni. Se si è iscritti al primo anno, manco quello. Non se la passano meglio coloro che sono beneficiari di borsa di studio e alloggiano presso Casa dello Studente (sempre che questa non sia chiusa per lavori causati da anni di indifferenza ed incuria da parte di chi se ne sarebbe dovuto occupare) che, terminati i 240 pasti gratuiti, si trovano nella simpatica situazione di non poter fare la spesa e cucinare in casa (il regolamento non lo consentirebbe). Sono esclusi invece dal diritto al pasto gratuito coloro che pur essendo beneficiari sono pendolari (o risultano tali perché il padrone di casa affitta in nero). A coloro che non hanno la possibilità di permettersi il costo del servizio, la risposta dell’ERSU, che in questo rivela la propria natura aziendalista, interessata esclusivamente al ripianamento del proprio bilancio, è chiara: ARRANGIATEVI!                                                                                                            

Non solo. Da quest’anno, l’Ente regala agli studenti la possibilità di contribuire ulteriormente alla gestione del sistema attraverso l’invenzione di un contributo di un euro, richiesto al momento del rilascio della tessera (come se non bastasse l’aumento esponenziale delle tasse).

A tutto ciò corrisponde un servizio tutt’altro che efficiente. Coloro che non arrivano in mensa all’orario di apertura devono rassegnarsi all’idea di fare una lunga fila, di cui non sono certo responsabili i lavoratori, chiamati a sopperire alla carenza di personale in cambio di uno stipendio misero, sperando di trovare da mangiare o dovendosi sbrigare perchè la mensa chiude. E la domenica? Giornata di riposo per i tanti studenti fuori sede si potrebbe andare in mensa, per evitare di dover cucinare in casa.   No, da qualche mese a questa parte questo non è possibile. La chiusura della mensa di Via Trentino, l’unica aperta la domenica, a partire dal mese di settembre, per lavori di ampliamento e ristrutturazione ha tolto anche questa possibilità. Qualcuno potrebbe dire: preferite mangiare cibo riscaldato, fettine che sembrano suole di scarpa con posate di plastica (nella migliore delle ipotesi due o tre si distruggevano nel tentativo)? Ma di chi è la responsabilità del fatto che per anni questa fosse la norma?

Tutto questo è il frutto di una chiara scelta politica. La stessa che fa sì che, in un contesto come quello cagliaritano dove la sola mensa di Via Premuda è a gestione diretta ERSU, un servizio sociale fondamentale si trasformi in terra di conquista per i privati. Lo studente è lasciato solo dalle associazioni della rappresentanza studentesca, sempre più impegnate a dialogare con le istituzioni responsabili di questo sistema e a sedare gli animi degli studenti ogni volta che questi provano ad alzare la testa. Non si può non pensare a quelle “nuove forme di finanziamento” evocate da Monti per il servizio sanitario nazionale, che si inseriscono in un più ampio progetto (quello delle esternalizzazioni) di svuotamento del pubblico a tutto vantaggio dei privati. L’esternalizzazione dei servizi tanto sbandierata come portatrice di efficienza, in realtà, come mostra la gestione del servizio ristorazione ERSU, non è altro che fonte di impoverimento, ed emblema del progressivo isolamento in cui vivono studenti e lavoratori, lasciati soli in una costante condizione di precarietà ed incertezza.

Costruiamo, tutti insieme, studenti e lavoratori una lotta dal basso che porti alla riappropriazione del servizio!

 

Ripartire dalla coperta corta delle borse di studio: ci organizziamo per rispondere alle minacce

Cagliari. Il 15 gennaio nella facoltà di Ingegneria si è tenuta un’assemblea studentesca convocata a seguito del caos scatenato dall’ Ersu dopo un ricorso fatto da alcuni studenti per chiedere l’incremento delle borse di studio.

L’assemblea è stata imposta dagli studenti borsisti per chiedere spiegazione del ricorso promosso dalla rappresentanza studentesca, un ricorso rispetto al quale l’Ente per il diritto allo studio, senza mezzi termini, ha risposto con minacce: minacce di rapina.

Infatti, l’Ersu di Cagliari, in seguito ad un ricorso promosso dalla rappresentanza studentesca che vorrebbe dimostrare l’illegalità dell’importo delle borse di studio erogate dall’ente (più basse rispetto al minimo previsto ai sensi del DPCM 2001), ha risposto che avrebbe chiesto la restituzione delle borse di studio ad alcuni beneficiari (circa 300) per poter integrare le borse dei ricorrenti.

Quale strumento ha scelto per notificare una scelta simile? Il più vigliacco: una raccomandata personale.

Durante l’assemblea l’avvocato dell’associazione promotrice del ricorso ha spiegato i termini del ricorso, rassicurando sul fatto che, a termini di legge, l’ERSU non sarebbe in diritto di chiedere la restituzione delle borse. Questo almeno è stato il parere della sua consulenza legale.

Tuttavia ben presto nel corso della discussione è apparso chiaramente come gli strumenti di organizzazione e lotta non possano essere limitati ad un’azione legale. Il reale problema dell’Ateneo, per quanto riguarda le borse di studio, si chiama sottofinanziamento e passa per tutte le politiche che vanno sotto il nome di “spending review”, pareggio di bilancio e austerità. Una sistematica strategia di impoverimento che, sommata ai regali fatti ai privati ed alla curia, mira alla distruzione del welfare studentesco.

Qual è il risultato di queste politiche? Sicuramente un trend crescente del numero di coloro che sarebbero idonei ma per mancanza di fondi non possono beneficiare delle borse di studio; ad oggi la percentuale si aggira intorno al 42% ed è destinata a crescere.

Il numero di coloro che, nonostante meritino e abbiano realmente bisogno di una borsa di studio, non ne beneficiano crescerà sin quando non saremo in grado di bloccare questo sistema nei suoi ingranaggi a noi più prossimi, ovvero iniziando, come deciso dall’assemblea, con l’organizzarci per rifiutare le minacce di chi vorrebbe dirci che per noi la possibilità di costruirci un futuro non è più garantita.

A partire dall’assemblea di ieri nei prossimi giorni verrà redatta una lettera collettiva indirizzata all’ERSU in cui tutti, come studenti borsisti, idonei non beneficiari e ed esclusi dalle graduatorie, manifesteremo di non aver gradito affatto le minacce che ci sono state rivolte via raccomandata.

Noi, come collettivo, non possiamo che opporci ai ricatti di un ente, l’Ersu, che ha deciso di gettare la maschera e preferisce perdere la faccia ricattando gli studenti e cercando di creare un vuoto intorno a chi lotta, invece di esigere dalla Regione i soldi che spetterebbero agli studenti. Inoltre lanciamo un appello a tutti coloro che hanno ricevuto la raccomandata Ersu: mettiamoci in contatto per andare a lanciarle in faccia al mittente.

Non una borsa indietro, nessun altra minaccia!

Verso un appuntamento di lotta!

 

#19D. TIFIAMO RIVOLTA!

 

 

 

 

Oggi siamo scesi in piazza insieme agli studenti medi in mobilitazione per dare continuità al lavoro politico iniziato e che ha avuto come tappe fondamentali quelle del #14N, del #24N e del #19D.

Autonomi ed autorganizzati abbiamo deciso di non richiedere l’autorizzazione del percorso alla Questura, per esprimere la nostra contrarietà ad ogni forma di dialogo con coloro che sono complici dell’attuale sistema di potere. Non riteniamo rispettabile una legge  come quella che proibisce le manifestazioni non autorizzate, emanata nel 1931, apice della repressione del fascismo.

 

Abbiamo deciso di recarci davanti alla sede dell’Assessorato alla Cultura, complice delle politiche di taglio al diritto allo studio e al sistema del welfare e di occupare i binari per esprimere il nostro disagio attraverso forme di sciopero che vadano oltre la classica passeggiata e che creino un reale disagio contro chi lo vuole imporre sulle nostre stesse vite. Dall’Assessorato alla Regione attacchiamo tutte quelle rappresentanze istituzionali che, svuotate e rese strumento del nostro impoverimento, distruggono le nostre prospettive di vita. Non abbiamo intenzione di fermarci, ma di costruire un nuovo progetto politico attraverso forme di riappropriazione dal basso.

 

“Noi tifiamo rivolta!” perché solo attraverso nuove metodologie che scavalchino il sistema della rappresentanza potremmo costruire una reale alternativa.

 

 

STAY TUNED!

STAY HUNGRY!

STAY REBEL!

 

Cagliari. #19D: gli studenti bloccano tutto!

Oggi, #19D, il movimento degli studenti medi cagliaritani è sceso in piazza per ribadire il proprio NO ai tagli al sistema dell’istruzione e al sistema welfaristico.

Gli studenti delle scuole in mobilitazione hanno deciso di convocare il corteo odierno per esprimere il proprio dissenso nei confronti di un progetto politico volto allo svuotamento del pubblico a tutto vantaggio dei privati (vedi DDL Aprea).

Il corteo, autonomo ed autorganizzato, nasce come continuazione del lavoro politico avviato nelle scuole che, con le giornate del #14N, del #24N e del #14D ha portato alla nascita di un movimento desideroso di costruire un nuovo progetto per la riappropriazione del proprio futuro. Non a caso gli istituti con maggiore presenza in piazza (Michelangelo, Dettori, Siotto, Giua, Alberti, Brotzu, Pitagora, Eleonora d’Arborea) provengono dalle recenti esperienze di occupazione, autogestione e blocco della città che hanno preparato questo corteo. Non di secondaria importanza l’elemento di rottura evidenziato fin dalla natura della convocazione del corteo che ha scelto di manifestare senza autorizzazione e ha visto una partecipazione molto più nutrita rispetto a un secondo corteo studentesco, al contrario autorizzato, convocato in piazza Giovanni XIII. Non c’è da chiedere il permesso a nessuno quando la volontà politica è chiaramente quella di bloccare l’esistente per crearsi gli spazi della sua trasformazione.

Radunatisi in Piazza Yenne, gli studenti hanno deciso di raggiungere l’Assessorato Regionale alla Cultura, complice di queste politiche di ristrutturazione del sistema della formazione. Il corteo selvaggio forte di 3000 presenze, si è snodato per le strade del centro cittadino cagliaritano: Largo Carlo felice, Via Roma, Viale Trieste. Non ha desistito inoltre di fronte al tentativo di pressione esercitato dalle forze dell’ordine, dando un chiaro segnale di scelta e maturazione politica liberandosi dal controllo della polizia cambiando più volte percorso e rendendo illeggibili alla digos le proprie intenzioni. Arrivati davanti all’Assessorato ci sono stati alcuni momenti di tensione causati dalla pressione esercitata sui manifestanti che volevano entrare dentro la struttura.

Al grido di “Occupiamo anche la stazione” i compagni mossi da un entusiasmo che va ben oltre la “canonica” passeggiata mascherata da manifestazione studentesca, si è mosso con il deciso intento di occupare i binari della stazione di Cagliari. Occupare tutto, bloccare tutto: questo è il sentimento reale e vivo degli studenti medi, l’unica reale opposizione al disagio imposto alle stesse soggettività studentesche. Percorrendo i binari fino ad arrivare alla stazione centrale di Piazza Matteotti al grido di “Noi la crisi non la paghiamo” il corteo ha raccolto al solidarietà dei passanti, molti dei quali si aggiungevano alla voce dei cori che rimbombavano nella stazione dei treni.

Abbandonati i locali della stazione di piazza Matteotti, il corteo non ancora sazio, si è diretto verso la sede del Consiglio Regionale Sardo in via Roma davanti al totale sbigottimento delle sfiancate forze dell’ordine. Il corteo ha sostato sotto la regione scaldando gli animi al grido “Occupiamo anche la Regione” e cercando di forzare gli ingressi, generando qualche tensione con le forze di polizia, per esprimere la volontà di riappropriazione del proprio futuro.

Dalla Regione il corteo selvaggio ancora affamato di azione si è diretto di nuovo verso Piazza Yenne, lì da dove era partito, dove davanti alla statua imperante di Carlo Felice alcuni compagni hanno esposto lo striscione: Tifiamo Rivolta!

Tifiamo rivolta contro il disagio della crisi, delle misure di austerity.

Tifiamo rivolta a favore del disagio creato dai cortei selvaggi che si battono contro l’impoverimento partendo dalla riappropriazione e dall’antagonismo,nell’imprevedibilità sulle modalità di sciopero e blocco. Quel retorico disagio che le istituzioni utilizzano per nascondere il vero disagio che loro stesse hanno creato.

Il corteo di oggi ha fatto un passo in avanti rivoltando lo stesso significato di disagio contro chi questo disagio ce lo impone. Per questo ha scelto di rilanciare con un’assemblea pubblica, convocata per domani alle 18 al liceo classico Siotto, in cui chiamare a un confronto e a una discussione sul futuro e le prospettive della mobilitazione anche docenti e studenti universitari.

                                                                               

                                                                   Noi non ci scusiamo per il disagio. Tifiamo Rivolta!

Cagliari sta con la Verdi 15 occupata!!

Siamo vicini ai compagni e alle compagne della Verdi 15, residenza universitaria che da mesi ospitava studenti e studentesse, che stamattina verso le 10 è stata assoggettata a sgombero forzato: la polizia ha fatto irruzione all’interno dello stabile cogliendo di sorpresa i residenti, che sono stati identificati e mantenuti nella struttura senza possibilità di dialogare con l’esterno. La residenza autogestita era diventata un’idea diversa di politica e di socialità, che andava contro le manovre di impoverimento e di austerity. L’occupazione dello stabile, un’ex casa dello studente al centro delle speculazioni edilizie, era nata dopo lo sfratto prepotente eseguito dall’Edisu contro due ragazzi tunisini per decadenza del diritto all’abitare in una residenza universitaria.

La Verdi 15 è una realtà che è riuscita a dare una risposta alla situazione di impoverimento degli studenti, situazione che ha fatto nascere in loro l’esigenza di riprendersi il diritto allo studio negatogli e di occupare la struttura.

Studenti che così si rifiutano di diventare quella figura soggettiva che ormai investe l’insieme dello spazio pubblico: la figura dello studente indebitato.
Studenti che non vogliono piegarsi al ricatto del default del debito, che porta al taglio dei servizi sociali e mette il welfare al servizio delle imprese, attraverso la privatizzazione di qualunque cosa.

L’occupazione ha permesso a tante persone di usufruire del diritto abitativo, di partecipare a gruppi di studio autogestiti (cineforum, corsi di musica, corsi di lingue, scambio culturale con ragazzi stranieri), di usufruire di numerosi servizi, come quello della ciclo-officina, nonché – per i ragazzi dell’Accademia di Belle Arti e del Conservatorio – di utilizzare spazi per le attività di studio che altrimenti non avrebbero potuto esercitare. Ciò che accomuna la Verdi 15 con tutte le realtà contro la distruzione del welfare, è la determinazione nel lottare contro chi, giustificandosi dietro lo stato emergenziale del momento, porta avanti politiche di smantellamento della categoria del diritto allo studio come frontiera della dismissione del welfare.

Qua sta la forza della Verdi 15!
Con la sua lotta cerca di far crollare quel vecchio e stanco meccanismo di gestione della “cosa pubblica” che cerca di rinnovarsi nell’attuale contesto della crisi, producendo una figura sociale segmentata, svalorizzata e impoverita.

La Verdi 15 non potrà mai essere sgomberata perché è riuscita a gettare le basi di un’alternativa comune per quegli stessi studenti che si sono ritrovati “impoveriti”, così a Torino come a Cagliari, come in qualsiasi altro posto in cui si cerca di costruire una comunità in lotta.

Come CUA Casteddu esprimiamo la nostra solidarietà verso i compagn* della Verdi 15.

NOI siamo la resistenza contro la crisi, noi siamo una realtà che pratica e sperimenta l’alternativa.
NOI siamo la riappropriazione di una spazio pubblico contro la privatizzazione delle vite di tutt*.
NO AI TAGLI alle borse di studio, a scuola e università pubblica, agli asili e a tutto il comparto del sociale!

“Riprendiamoci i nostri spazi. Al fianco dei ragazzi della residenza universitaria Verdi 15 Occupata.”