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12D: occupiamoci dei nostri diritti!

bannerRiportiamo sul blog l’appello  per una partecipazione massiccia di studenti, precari e lavoratori allo spezzone sociale e studentesco in occasione dello sciopero generale indetto dalla Cgil, con l’ausilio della Uil, per il 12 dicembre contro il jobs Act.                                                                                                                             

La grande scommessa del 12 dicembre sarà proprio questa: unire tutte queste categorie colpite dalla crisi e dalle scelte politiche dei vari governi e che hanno assistito a un continuo taglio dei servizi e un’ impossibilità a soddisfare i propri desideri. Partiamo dai nostri bisogni, riappropriamoci dei nostri diritti e occupiamoci dei nostri problemi. Sono le parole d’ ordine di una giornata che ci deve vedere tutti attivi e partecipi senza alcuna discriminazione

Il 12 dicembre migliaia di persone scenderanno in piazza, astenendosi dal lavoro, per il corteo indetto dalla CGIL con l’adesione della Uil. Una risposta ormai indispensabile per il sindacato di Susanna Camusso che, dopo tanto tergiversare, non poteva più aspettare per dare una risposta concreta alle migliaia di lavoratori ormai condannati alla precarietà e allo sfruttamento e che sempre più si vedono negate le più banali garanzie lavorative in nome di un progresso auto-referenziale ed escludente.
Quel giorno in piazza saranno presenti anche gli studenti di tutta la Sardegna, che dovrebbero rappresentare le figure principali per la creazione del sapere nella nostra regione, e invece subiscono da anni una continua dequalificazione ed elitarizzazione dei percorsi formativi. Le politiche degli ultimi anni portate avanti dai governi di centro-destra e centro-sinistra, mandanti delle direttive politiche impostate dal Processo di Bologna, hanno dimostrato la chiara volontà della classe dirigente di smantellare l’università pubblica, rendendo sempre più sterile e nozionistico il sapere universitario. La costante diminuzione del welfare studentesco ha parallelamente generato un sistema competitivo e individualista, creando una vera e propria guerra tra poveri all’interno della componente studentesca. Siamo invece convinti che la soluzione per i problemi degli studenti non sia soltanto scovare chi ogni anno dichiara il falso al momento della richiesta per la borsa di studio e il posto alloggio, ma sia pretendere la copertura TOTALE per tutti coloro che ne hanno diritto.

In questo contesto è la condizione studentesca e giovanile che vogliamo sottolineare. Di fronte ad un sempre più continuo disimpegno da parte dello Stato e della Regione Sardegna, che diminuisce di anno in anno i fondi per il diritto allo studio (esempi chiari di ciò sono i sette milioni in meno da quattro anni a questa parte finanziati per il welfare studentesco, e la diminuzione dei posti alloggio nelle case dello studente, passati dai 955 del 2008 ai 725 nel 2014), gli studenti sono ormai costretti a fare delle scelte drastiche per il prosieguo o inizio della loro carriera universitaria. Da un lato sono spesso obbligati a cercare appartamenti con affitti altissimi, che variano, per esempio a Cagliari, dai 200 euro nelle zone periferiche ai 250 euro delle zone centrali, spesso in nero. Affitti che di anno in anno continuano a salire, anche a causa delle 5000 case sfitte presenti a Cagliari, che fanno salire notevolmente i prezzi degli affitti. Un altro fardello che appesantisce lo svolgimento del corso di studi è il pendolarismo, scelta obbligata per gli studenti costretti a viaggiare dai loro paesi di origine per poter seguire le lezioni e sostenere gli esami, avendo spesso a che fare con ritardi, soppressioni e altri disagi di mezzi pubblici quali treni e pullman. Per chi non è in grado di sostenere queste spese, allora si apre la strada dell’abbandono dall’università: è questo ciò che lo scorso anno sono stati costretti a fare 257 studenti iscritti al primo anno non appena hanno scoperto di essere idonei non beneficiari. A causa sia del disimpegno delle istituzioni preposte sia delle conseguenze che questo provoca, osserviamo come ormai non esistano più gli studenti “puri”, ma anzi, spesso questi sono costretti a cercare dei lavori precari, malpagati e senza alcuna garanzia, per poter sostenere una vita universitaria nel capoluogo sardo. Oppure sono obbligati ad emigrare: i dati Istat affermano che un giovane su due è disposto a trasferirsi nel resto d’Italia, uno su tre all’estero. Sappiamo che dietro questi tagli ci sono chiare volontà politiche: esplicativo in questo senso il fatto che dal 2009 ad oggi l’FFO (fondo di finanziamento ordinario), utile per l’attuazione e il corretto funzionamento dei corsi e dei piani didattici, è passato dai 136.1 milioni di euro ai 114 milioni, causando la chiusura di tanti corsi di studio (siamo passati dai 90 del 2009 ai 78 odierni), il mancato turnover dei ricercatori e il pensionamento dei docenti. Allo stesso modo, vediamo come invece per l’apparato militare i fondi siano sempre cospicui: 90 i milioni che la Regione Sardegna destinerà all’apparato della Difesa, mentre il governo ha acquistato 90 aerei da guerra F35, ognuno dei quali costato tra i 97 e i 105 milioni di euro. Con i fondi utilizzati per uno di questi aerei da guerra potremmo pagare 27.000 borse di studio con l’importo massimo che l’ERSU di Cagliari paga ai fuori sede.

I dati altissimi di dispersione scolastica, la diminuzione costante negli ultimi anni del numero delle immatricolazioni e l’incremento del numero di NEET (giovani che non lavorano, nè stanno nei percorsi formativi) e di emigrati, sono da leggere in parallelo e sono la viva testimonianza di un territorio che non crede e non investe nella sua popolazione giovanile con politiche miopi e spesso clientelari.

Partiamo dalla nostra condizione giovanile e dai luoghi di riferimento in cui ci confrontiamo ogni giorno, ovvero le facoltà, le case dello studente, le biblioteche e le mense. Liberiamoci dalla nostra condizione, che ci vede meri fruitori di un servizio prodotto dalle fabbriche del sapere. Ricreiamo nella nostra città luoghi di aggregazione, scambio e socialità alternativi ai ritmi dettati dall’università azienda e dalla città gentrificata. Questa è la grande scommessa del 12 dicembre: riprendersi le strade e la città, riconquistando spazi di libertà in cui il confronto all’interno della popolazione studentesca sia slegato da dinamiche di profitto o produzione.
Solo noi possiamo dare una spinta decisiva per un cambiamento reale dei luoghi che quotidianamente viviamo, mettendoci in gioco giornalmente e credendo nella possibilità di non emigrare , non accontentandoci ma rilanciando costantemente per conquistare sempre maggiori spazi di libertà indipendenti da chi ci ha costretto a partire o da chi ci obbliga ad avere a che fare con servizi tagliati o, peggio ancora, svenduti.

Sindaco e Abbanoa attaccano le scuole occupate. Ma gli abitanti rispondono: LA CASA NON SI TOCCA!

a282952b7eba47cbc3f37bdbe206484ff1dc8ff880c68d3e81ca4c84Anche a Cagliari, come in tante altre città, l’incapacità delle istituzioni di rispondere alla domanda abitativa provoca una situazione emergenziale. Capita così che alcune famiglie, che aspettano da anni una casa popolare, siano spinte ad occupare alcuni edifici scolastici inutilizzati di proprietà del comune: l’ex scuola Mereu, quella di via Zucca a Pirri e di Via Flumentepido a San Michele.

Al loro interno, tra gli altri, vivono circa venti bambini, diversi anziani, una ragazza incinta e due disabili. Dopo anni di sacrifici, dopo essersi impegnati per adattare quegli spazi (altrimenti inutilizzati) alle proprie esigenze, per alcuni di loro è arrivata l’ennesima mazzata: Abbanoa – l’azienda che si occupa del servizio idrico nel territorio sardo – eseguendo direttive del Comune, ha provveduto allo slaccio coatto dell’utenza. Gli edifici interessati dall’ordinanza sono la scuola “Mereu” e quella di via Flumentepido. Lo stesso provvedimento è stato minacciato da Abbanoa per quanto riguarda gli abitanti della scuola di Via Zucca, qualora decidessero di resistere a quello che di fatto è un tentativo di mandarli via.

Sono questi i primi effetti dell’applicazione del “Piano Casa” del governo Renzi, che all’articolo 5 recita:

“Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non puo’ chiedere la residenza ne’ l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.”

Il provvedimento trova numerosi zelanti esecutori sul piano locale: tra i primi in Italia, l’amministrazione comunale cagliaritana, insieme ad Abbanoa. Per questo, lunedì mattina abbiamo partecipato al sit-in indetto sotto gli uffici comunali dalle famiglie occupanti. L’invito rivolto al sindaco Zedda di sedersi ad un tavolo per trovare insieme una soluzione, regolarizzando i contratti per le utenze dell’acqua precedentemente a carico dell’amministrazione comunale, è stato rifiutato adducendo come scusa la celebrazione di un matrimonio. Come se ciò non bastasse, in seguito alla notizia, la Digos ha mostrato tutto il suo nervosismo di fronte ad una situazione potenzialmente conflittuale, minacciando di denunciare occupanti e solidali.

Lasciando da parte le promesse troppo spesso pronunciate, non sembra esserci da parte dell’amministrazione (quella della città dalle 5000 case sfitte) nessuna intenzione di instaurare un dialogo con chi è vittima delle proprie inefficienze. Ma solo quella di eseguire, chinando il capo e lasciando alla propria sorte gli occupanti, le direttive nazionali (auspicando magari che i soliti palazzinari regalino nuovi sogni sulla costruzione di ghetti al solo vantaggio delle proprie tasche).

Siamo al fianco degli occupanti in questa giusta lotta per un diritto fondamentale quale è quello per la casa. Un diritto negato e calpestato da chi dovrebbe garantirlo. Per questo, di fronte ad un’emergenza sempre più pressante incontriamoci ed auto-organizziamoci per riprenderci ciò che è nostro. 

 

Sant’Elia è viva.

Un’intervista alle donne dell’associazione Sant’Elia Viva

Foto tratta dall'ulbum "Ma tu di dove sei?" (Quartiere Sant'Elia) 2014" di Gisella Congia
Foto tratta dall’ulbum “Ma tu di dove sei?” (Quartiere Sant’Elia) 2014″ di Gisella Congia

 In Sardegna l’emergenza abitativa sta diventando sempre più un problema reale,  molte le persone che non sono in grado di pagare l’affitto e sono dunque sfrattate  dalle loro abitazioni (secondo i dati provvisori del Ministero degli Interni, usciti  nel  febbraio 2014 e riferiti allo scorso anno, solo in Sardegna sono 302 gli sfratti  per  morosità, di cui 151 quelli eseguiti). Di fronte a questi dati, molti, non avendo  un  reddito adeguato a sostenere un affitto, scelgono la via dell’occupazione, ormai una  pratica sempre più diffusa non solo in Sardegna. A ciò ha deciso di  rispondere alcuni  giorni fa il Governo Renzi, attraverso la nuova Legge sul “Piano  Casa”, che  rappresenta un vero e proprio atto punitivo nei confronti delle  centinaia di  occupazioni presenti in tutto il  paese[1]Questi sono stati i motivi che ci hanno  portato ad approfondire il tema dell’emergenza abitativa, focalizzando la nostra  attenzione su quello che succede nella nostra città, Cagliari. Come Collettivo  Universitario Autonomo abbiamo quindi avuto la possibilità di entrare in contatto con  l’ Associazione culturale Sant’ Elia Viva, un gruppo di donne che ha deciso di  combattere nel loro quartiere, Sant’ Elia, sia questo problema che tanti altri,  mostrando una grande determinazione. Per questi motivi abbiamo deciso di approfondire il rapporto con loro e a dare voce ai loro gesti e alle loro parole.

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ELEZIONI UNIVERSITARIE: Un tiro al piccione

piccioni01Come vuole la tradizione, ogni tanto, viene aperta la caccia al piccione. Improvvisamente, bislacchi  cacciatori escono dalle tane in cui sono rimasti a lungo chiusi, imbracciano i loro fucili, li caricano a coriandoli e via! La caccia è aperta. Continua la lettura di ELEZIONI UNIVERSITARIE: Un tiro al piccione

IL MANUALE DEL PERFETTO SPECULATORE

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Vendere via Roma “Non è un’ eresia”. È questa la dichiarazione del 14 marzo di Paolo Pirino, neo presidente dell’ ERSU nominato con una mossa a sorpresa l’ 11 febbraio dall’ ormai ex presidente della Regione Ugo Cappellacci. Ma questa affermazione non risulta essere una notizia dell’ ultima ora; va invece a confermare le paure espresse da alcuni studenti nel gruppo Facebook dell’ ERSU in tempi non sospetti. Paure dissipate dalla vecchia presidentessa Daniela Noli, che ha lasciato la poltrona per tuffarsi nella campagna elettorale delle ultime elezioni regionali. Continua la lettura di IL MANUALE DEL PERFETTO SPECULATORE

Verso l’assemblea del 6 Marzo: RIPRENDIAMOCI GLI APPELLI!!!

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Stamattina, come Assemblea contro il taglio degli appelli, abbiamo bloccato per mezz’ora l’inizio delle lezioni nel Corpo Centrale del Magistero. Non siamo disposti ad accettare passivamente il taglio votato dai docenti in Consiglio di Facoltà e la loro volontà di ignorare le nostre ragioni, espressa disertando l’incontro fissato due mesi prima per il 26 febbraio, adducendo come scusa la mancanza di preavviso. Dopo mezz’ora, abbiamo deciso di partire in corteo attraversando le biblioteche e le aule degli altri edifici. Le reazioni sono state varie. Prof. Mascia, ad esempio, si è mostrato contento e desideroso di partecipare all’assemblea del 6 marzo. “Ci sono tante contraddizioni – ha detto – nello stesso corpo docente. Tra coloro che si devono adeguare alle decisioni, e pochi altri che le impongono”. Radicalmente opposta è stata la reazione di Prof. Nuvoli. Non che ci si potesse aspettare niente di diverso da uno dei massimi rappresentanti di Comunione e Liberazione.Nuovo appuntamento…

Mercoledì 5 Marzo – ore 13
Giardino Antistante Mensa Via Trentino
https://www.facebook.com/events/592192447542256/

Viviamo un momento di socialità in uno spazio ormai dimenticato da chi dovrebbe provvedere al Diritto allo Studio, per discutere e organizzarci in vista dell’assemblea studenti/docenti del 6 marzo.

RIPRENDIAMOCI GLI APPELLI!!!

Riprendiamoci gli appelli: verso la giornata di lotta del 6 Marzo

meno appelliIl 26 Febbraio si sarebbe dovuto tenere l’incontro tra gli studenti della Facoltà degli Studi Umanistici, autorganizzatisi nell’ Assemblea contro il taglio degli appelli, e i docenti in merito al taglio stesso. Perché il condizionale? Nonostante l’incontro fosse già stato fissato e i docenti avvisati con due mesi di anticipo, si sono presentati soltanto il preside della Facoltà ed un altro professore, adducendo come scusa l’assenza di un preavviso dell’ultimo minuto. L’Assemblea studentesca ha proposto ai docenti un nuovo appuntamento per la giornata di ieri, 28 Febbraio, declinato dai docenti in quanto, citiamo prof. Paulis, preside della Facoltà, “il venerdì è una giornata scomoda”. Ennesima prova della loro incapacità e l’indisponibilità a capire il nostro punto di vista, il loro costituirsi non come interlocutori per la risoluzione di un problema, ma come parte del problema. Per questo, l’assemblea si è tenuta ugualmente nonostante l’assenza dei docenti. E’ emersa la volontà di accettare l’incontro del 6 Marzo e la necessità di organizzarsi per far capire ai docenti, il cui atteggiamento si è rivelato paternalistico, quando non canzonatorio, che non siamo disposti a cedere.

Non siamo disposti ad aspettare in silenzio fino all’ incontro del 6 marzo, ma vogliamo far arrivare la nostra protesta a tutti gli studenti possibili. Sia chiaro a tutti che non ci fermeremo fino a quando non raggiungeremo l’obiettivo: riprenderci tutti gli appelli!

Le LOTTE non si arrestano!

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Ieri mattina una grossa azione repressiva è stata condotta dalle questure di Roma e Napoli nei confronti dei militanti dei movimenti di lotta per la casa, delle soggettività antagoniste e dei precari organizzati.

Nella capitale sono stati 17 i compagni del movimento per il diritto all’abitare (Blocchi Precari Metropolitani, Coordinamento Lotta per la Casa, Acrobax e Alexis) che hanno ricevuto delle misure restrittive. Sette sono stati posti agli arresti domiciliari e altri dieci all’obbligo di firma. I fatti si riferiscono alla giornata del 31 Ottobre, quando più di mille persone assediarono la conferenza Stato-Regioni. Le accuse vanno da resistenza e violenza a pubblico ufficiale a rapina per la sottrazione di alcuni scudi e manganelli durante le cariche.

 Nella città partenopea, invece, 10 compagni  sono stati posti agli arresti domiciliari e 15 all’obbligo di dimora, tutti appartenenti ai “Precari organizzati B.R.O.S.”. Questi provvedimenti si riferiscono a manifestazioni che vanno dal 2010 al 2014 ed il reato contestato è partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro l’incolumità pubblica, l’ordine pubblico e la pubblica amministrazione, quasi accomunando chi lotta per rivendicare i propri diritti per un futuro migliore alle peggiori cosche della camorra.

 Il duplice attacco della controparte ai movimenti, dimostra come dietro queste azioni ci sia una chiara volontà politica di voler stroncare alcune realtà che si stanno sempre di più rafforzando e consolidando in varie città italiane. Quello che è stato e quello che significa il 19 Ottobre fa paura, soprattutto dopo la partecipatissima assemblea dello scorso 9 febbraio alla Sapienza, che ha rilanciato la data del 12 aprile come nuova mobilitazione nazionale.

 Non faremo mai un passo indietro e non ci lasceremo intimidire dalla repressione di coloro che pensano di poterci fermare, che per di più sono gli stessi che ci hanno trascinato in fondo a questa crisi economica e che credono che l’unico modo per uscirne sia l’austerità. Abbiamo già dimostrato, e continueremo a farlo, che l’unica via possibile è quella della riappropriazione, e che il gesto di occupare le case sfitte è solo la punta dell’iceberg di un percorso di contropotere.

 Come compagni del Collettivo Universitario Autonomo Casteddu e del Collettivo Autonomo Studenti Casteddu vogliamo esprimere la nostra piena solidarietà ai compagni vittime di queste misure restrittive, consci che non sarà questa repressione intimidatoria a fermare le lotte.

MENSA DI VIA TRENTINO: tra problemi burocratici finti e responsabilità reali

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Era il luglio del 2012 quando la mensa di via Trentino è stata chiusa per lavori di ristrutturazione, e  ancora stiamo aspettando che il servizio ritorni operativo.

Fin dalla sua apertura, la mensa è sempre stata organizzata in modo che il cibo venisse cucinato nelle altre mense e poi spedito in via Trentino. Questo fino all’estate di quasi due anni fa, quando sono iniziati i lavori per costruire una cucina e una canna fumaria necessari alla preparazione del cibo all’interno della mensa stessa. Continua la lettura di MENSA DI VIA TRENTINO: tra problemi burocratici finti e responsabilità reali

22 novembre. Ora parlano gli studenti

Foto corteo

La domanda che ho sentito più spesso in queste due lunghissime settimane? “Perché siete andati contro la celere? Sapevate cosa sarebbe successo.” La mia risposta è e sarà sempre la stessa: solo i ladri o chi ha qualcosa da nascondere entra dall’ingresso posteriore. Noi siamo il popolo, noi siamo studenti e la nostra rabbia non la vogliamo nascondere. Quindi siamo voluti entrare dall’entrata principale.

Inizia così la testimonianza di Luca (nome fittizio per rispettare la sua privacy), uno degli studenti scesi in piazza il 22 Novembre durante la giornata di sollevazione regionale indetta dal Collettivo Autonomo Studentesco Cagliari con la collaborazione di diversi altri collettivi come quello di Oristano, Olbia e del Collettivo Universitario Autonomo Casteddu. I motivi che hanno portato i giovani in piazza sono stati molteplici: dal caro libri, al caro trasporti, passando per la carenza di fondi per il diritto allo studio e per lo stato disastroso in cui versano le strutture scolastiche e universitarie. Sono esempi lampanti di ciò gli ultimi avvenimenti accaduti al Liceo classico Dettori di Cagliari, nel quale è crollato un soffitto ferendo due studenti e un’ insegnate, e l’ ormai dimenticata casa dello studente di via Roma.

Nel comunicato del Collettivo studentesco Antonio Gramsci di Oristano leggiamo infatti: «Il nostro obiettivo era raggiungere il palazzo della regione, luogo simbolo nel quale si rintana la nostra classe dirigente parassita e criminale, piena responsabile, con le sue precise scelte politiche, della catastrofica situazione sociale in cui versa la nostra terra». È stato infatti progettato, nel lungo mese di preparazione del corteo, un vero e proprio “Assedio” come si legge in modo molto esplicito nelle locandine e nei diversi comunicati usciti prima del 22. L’obiettivo della giornata è stato dunque individuato nella sede del Consiglio regionale di via Roma

E così è stato. Da una parte e dall’ altra. Il racconto di Luca, infatti, continua così: A passo lento avanziamo verso la celere già dispiegata e pronta alla mattanza. Al contatto con i loro scudi davanti a noi si presentavano visi disumani colmi di rabbia e rancore verso chi chiedeva diritti e per chi poteva essere loro figlio. Da altre testimonianze emerge inoltre che quasi tutti i componenti del reparto schierato davanti agli studenti era composto da celerini che ridevano delle manganellate e da uomini che hanno “menato” tanto forte da mandare 4 ragazzi all’ ospedale. Secondo ciò che dice il Collettivo Studentesco Antonio Gramsci, pareva che la celere fosse formata “da uomini che non vedevano l’ ora di sfogarsi”.

Tra i ragazzi che sono stati costretti a ricorrere alle cure mediche c’è Luca, al quale è stato riservato un trattamento particolare da parte del Dipartimento Investigativo Governativo Operazioni Speciali (D.I.G.O.S.) : “Come altri, dopo l’ennesima manganellata al capo sono crollato a terra, privo di sensi. Lasciai la mischia barcollando, aiutato da chi come me era lì per i propri diritti, e sentivo che le forze mi stavano abbandonando. A quel punto e in quelle condizioni vengo fermato da due individui in borghese e presumibilmente della Digos, che mi intimarono il fermo. Spaventato dalla situazione, accelerai il passo ma dopo le svariate minacce verbali ricevute decisi di fermarmi.”

Il racconto non termina qui, anzi: “Dopo il mio fermo è successo il fatto più vergognoso e disumano. Mi raggiunsero e, non contenti, il primo mi diede un pugno al viso, il secondo, una volta arrivato, si avvicinò e subito mi sferrò un pugno alla bocca dello stomaco.”

La testimonianza di Luca non è che uno dei momenti peggiori di ciò che è successo il 22 Novembre a Cagliari. Infatti è solo uno dei tanti ragazzi che, stanchi di non essere mai ascoltati, stanchi di essere minacciati ogniqualvolta si voglia manifestare un dissenso, stanchi di vivere in una società dove lo studente e i giovani vengono considerati come l’ ultima ruota del carro, si è trovato davanti a una reazione spropositata da parte della celere e di altri reparti speciali delle “forze dell’ ordine”.

«Non un passo indietro. Ci vogliono in ginocchio, noi ci solleviamo», si legge nel comunicato di uno degli organizzatori, il Casc. Sono queste le parole d’ordine che gli studenti porteranno avanti durante la lotta al potere dei prossimi mesi e forse, proprio questi due slogan, insieme alla presenza massiccia dei giovani in piazza, hanno spaventato le forze dell’ ordine. Solo questo potrebbe giustificare la loro reazione, tanto spropositata quanto indiscriminata, davanti a un corteo “armato” di ombrelli e uova ripiene di vernice, ma con una determinazione molto superiore delle loro manganellate.

22 Novembre: Non un passo indietro

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Non un passo indietro. E’ questa l’indicazione che esce dalla giornata di mobilitazione indetta dagli studenti del Collettivo Autonomo Studenti Casteddu, alla quale abbiamo risposto con grande entusiasmo. Una giornata che aveva un obiettivo: l’assedio alla Regione, come parte di un sistema di potere che ha come unica risposta alla crisi quella delle politiche di austerità, i cui effetti subiamo nella vita di tutti i giorni. Dal caro libri, al caro trasporti, alla carenza di fondi per il diritto allo studio (vedi aumento al 50 % degli idonei non beneficiari), allo stato disastroso in cui versano le strutture scolastiche e universitarie (vedi Casa dello studente di Via Roma). Politiche che affamano i territori lasciati alla mercé di palazzinari, responsabili delle morti e della devastazione seguita all’alluvione cui abbiamo assistito nei giorni scorsi.

Il rifiuto e la rabbia di fronte a queste politiche è stato l’elemento unificante le mille persone che ieri sono scese in piazza, decise a chiedere conto ai responsabili. Di fronte a noi che in un migliaio siamo giunti davanti alla sede del Consiglio regionale di Via Roma, niente di diverso da quello che ci aspettavamo: un cordone di polizia. E’ questa l’unica risposta che arriva dall’alto. Polizia che non ha esitato a riversare la propria rabbia sugli studenti, dando vita ad una vera e propria caccia all’uomo, il cui bilancio è quello di quattro feriti.

Tra questi Emanuele, allontanatosi dal corteo perché non in buono stato di salute, è stato picchiato selvaggiamente dalle forze dell’ordine quando ormai si trovava già a loro disposizione. Conseguenza di ciò è stata una denuncia a piede libero per manifestazione non autorizzata, resistenza e violenza a pubblico ufficiale.  A lui, appena dimesso dall’ ospedale, va il nostro pensiero e un forte abbraccio. A lui come, sul versante opposto, a tutti coloro che si sono resi responsabili di questa violenza, dai mandanti politici agli esecutori materiali, va la nostra promessa che non ci fermeremo qua.

Un’altra strada è possibile rispetto a quella che ci viene offerta dalle istituzioni: quella dell’ autorganizzazione e della cooperazione. Un percorso da costruire sottraendo giorno dopo giorno, centimetro per centimetro spazio alla controparte nei territori che attraversiamo durante la nostra vita. Attraverso la costruzione di momenti di socialità, ma anche di scontro con la controparte, individuata nella classe dirigente a livello locale e nazionale.

STORIE DI VITA PENDOLARE

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Il pendolarismo è indubbiamente un fenomeno che riguarda moltissimi studenti universitari e che influisce pesantemente sui ritmi di vita e di studi . Spesso la scelta risulta essere quasi obbligata, sia perché le condizioni economiche della propria famiglia non permettono di sostenere le spese di un affitto a Cagliari, che secondo la media risulta essere di circa 215 euro al mese, più le eventuali spese, sia perché i servizi Ersu, che dovrebbero essere in grado di soddisfare le esigenze e i bisogni di questi studenti, di anno in anno vengono continuamente definanziati (quest’anno il numero di idonei non beneficiari arriva a toccare il 50%). E per chi magari pensa di poter sostenere le spese di una vita da studente a Cagliari attraverso piccoli lavoretti , ecco che si ritrova vittima di lavori malpagati, scarsamente qualificati e intermittenti.

 

Qui sotto è presentato il racconto di Gavino, che partendo dalla descrizione della condizione economica della sua famiglia, arriva poi a descrivere la qualità dei trasporti e le problematiche legate alla sua condizione di pendolare.

Continua la lettura di STORIE DI VITA PENDOLARE

Lo spot del Rettore Melis sull’esenzione dalle tasse

cagliari_guerra_tra_studenti_e_universit_sit_in_contro_tassa_per_chi_non_d_esami-330-0-338995Anche quest’anno l’ateneo cagliaritano prevede l’esenzione del pagamento delle tasse universitarie per gli studenti figli di lavoratori in cassa integrazione o che hanno di recente perduto l’occupazione. Continua la lettura di Lo spot del Rettore Melis sull’esenzione dalle tasse

Le responsabilità politiche di un pasticcio burocratico.

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Si è finalmente risolto il pasticcio burocratico del mancato accreditamento delle borse di studio da parte dell’ERSU. Finalmente agli studenti è stato dato quello che li spetta, niente di più e niente di meno: la seconda rata della propria borsa di studio. Continua la lettura di Le responsabilità politiche di un pasticcio burocratico.

Facoltà degli Studi Umanistici: riprendiamoci gli appelli!

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Giovedì 13 giugno il Consiglio della neonata Facoltà di Studi Umanistici ha deciso, su indicazione del preside di Facoltà, di ridurre da 11 a 8 gli appelli d’esame annui dedicati agli studenti fuoricorso, e da 7 a 6 quelli previsti per gli studenti in corso.

 

Il nuovo statuto dell’Università di Cagliari, in vigore da quest’anno accademico, è figlio delle commissioni statuto del 2011, le quali riscrissero gli statuti degli atenei italiani sulla base della riforma Gelmini, approvata con la fiducia al Governo Berlusconi contro la quale migliaia e migliaia di giovani studenti e studentesse precari eressero barricate a Montecitorio negli scontri del 14 dicembre 2010.

Secondo il nuovo statuto il numero delle facoltà dell’ateneo cagliaritano è stato compresso a 6. Un’unica grande Facoltà di Studi Umanistici accorpa le ex facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e Scienze della Formazione.

 

Sino a quest’anno due delle tre ex Facoltà (Lettere e Lingue) offrivano ai fuori corso la possibilità di sostenere 11 appelli annui. Da ieri, per uniformare i calendari didattici delle tre ex facoltà, gli studenti hanno visto cancellata tale possibilità, riducendola a 8 appelli all’anno. Gli appelli per gli studenti in corso passano a essere, invece, da 7 a 6. La complicità del corpo docente con il processo di riforma ha portato presto a mettere d’accordo i professori delle tre ex Facoltà che compongono l’attuale sull’opportunità di sopprimere gli appelli: piuttosto che estendere il numero degli esami agli studenti di Ex Scienze della formazione si è giocato – come al solito – al ribasso.

 

Ancora una volta vediamo moltiplicarsi gli sbarramenti nei nostri percorsi formativi. La riduzione dei servizi – in questo caso degli impegni didattici dei docenti – ci impone l’impossibilità di gestire autonomamente tempi e ritmi di studio facendo scivolare rapidamente le nostre carriere universitarie verso la condizione di fuoricorso o inasprendola attraverso delle sanzioni che non sono più solo monetarie. Un’università con tempi di studio sempre più contingentati vorrebbe esprimere una condizione di studente a tempo pieno. Eppure pochi di noi a oggi possono permettersi questo lusso. La maggior parte degli studenti è costretta a spezzare i propri tempi di studio tra un lavoretto e l’altro pur di riuscire a mantenersi a Cagliari. Il soggetto in formazione è figura compiutamente precaria più che figura studentesca.

Così con meno appelli disponibili aumenta la possibilità di finire fuoricorso, con la certezza di incorrere nelle ulteriori gabelle approntate per la circostanza: sovrattassa per i fuori corso (fino al 30% in più) e sovrattassa di discontinuità (50 euro in più per ogni semestre senza esami). Per i fuoricorso, le possibilità di concludere il percorso di studio si fanno ancora più remote. Oltre alle ben note sovrattasse succitate, la figura dello studente fuoricorso viene sanzionata ulteriormente; la riduzione degli appelli è una manovra strumentale all’Università: lo studente fuoricorso, che il più delle volte diventa tale perché costretto a lavorare  – spesso in nero – per poter studiare, viene utilizzato come capro espiatorio, come merce da mettere a valore. In realtà l’obiettivo dell’Università non è quello di agevolare la figura dello studente fuoricorso: questo studente costituisce per l’Università una fonte di ricchezza, nel momento in cui può estrarne un profitto attraverso l’inasprimento delle tasse.

Difficile sottrarsi a una spirale in cui per continuare a studiare si è costretti a lavorare con una sottrazione di tempo allo studio che viene però sanzionata “per regolamento” con ulteriore erosione di reddito!

Senza contare le difficoltà che incontreranno gli studenti borsisti nel mantenere i benefici con un appello in meno!

 

Non solo. Il caso della soppressione degli appelli ci parla anche del ruolo della docenza in questa università riformata. Pur senza il coraggio di schierarsi apertamente, gli “accademici”, tra ingenuità e opportunismo, si fanno concreti interpreti dello “spirito di riforma” dell’università degli ultimi anni. Da un lato, infatti, radicalizzano, anche nell’amministrazione dei dipartimenti, le misure volte al dimagrimento dei servizi; dall’altro sempre più disertano gli impegni e le responsabilità connesse alla didattica interpretando il ruolo della docenza universitaria entro una dimensione privatistica dove ciò che conta è il progresso di una personale carriera accademica fatta di accreditamento presso l’istituzione attraverso la produzione e la valutazione di ricerca. Sparisce qualsiasi problematizzazione della dimensione collettiva del sapere e della formazione. Gli spazi della relazione pedagogico formativa in questa università vengono soppiantati dai meccanismi di istruzione e selezione dove ciò che maggiormente conta è la razionalizzazione dei tempi.

Allora, da parte di alcuni docenti, bisogna risparmiare sugli appelli, togliere tempo agli studenti per dedicarlo all’ultimo articolo richiesto come parametro per restare a galla o essere promossi.

 

A questa selezione giocata tutta sulla nostra pelle diciamo che non ci stiamo.

 

Ci interessa rimettere al centro di quest’università la natura della trasmissione dei saperi e dei modi della formazione. Crediamo infatti questi siano un patrimonio collettivo che collettivamente debba essere interpretato strappandolo a quei meccanismi che, mercificandolo, lo rendono invece strumento del nostro impoverimento e della nostra esclusione sociale in questa università post-riforma.

Sappiamo che ci sono delle responsabilità nei processi degli ultimi anni e nelle scelte recenti.

Sappiamo che di questa direzione non ne possiamo più e porteremo la nostra opposizione in ogni prossimo consiglio di facoltà fino a farvi tornare indietro!