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VENERDI 1 FEBBRAIO 2013 : SIT IN SOTTO L’E.R.S.U. – NESSUNA BORSA INDIETRO : RESTITUIAMO ALL’ E.R.S.U. LE RACCOMANDATE!

Dopo aver tentato, per tutto l’autunno, di disciplinare l’insubordinazione sociale mascherandosi dietro la scusa del “siamo solo tecnici”, ma operando delle scelte politiche ben precise che rientrano sotto la categoria dell’ “austerità” e dello smantellamento del welfare, viene fuori il vero volto dell’ E.R.S.U.

Minacce sotto forma di raccomandate spedite a quei soggetti sociali a cui l’E.R.S.U., secondo il proprio statuto, dovrebbe occuparsi di garantire il “diritto allo studio” (che, prima di essere un diritto, è in primo luogo un bisogno).

Emerge un fatto: le istituzioni sono quanto mai distanti dalle reali condizione dei soggetti sociali, l’E.R.S.U. non intende o è incapace di capire la condizione di noi studenti.

Noi non crediamo più che la mediazione istituzionale possa garantirci i nostri bisogni; non crediamo più di poter aspettare con le mani in mano che le istituzioni, gli enti amministrativi, i partiti, gli organi di rappresentanza, si muovano per soddisfare le nostre esigenze.

Riportare le raccomandate all’ E.R.S.U. è un gesto di rifiuto nei confronti di un sistema che ci vuole sempre più assoggettati, impoveriti e indebitati. È un gesto che dice “NO” e che costruisce un “Sì”, il “Sì” del nostro essere soggetti sociali capaci di agire politicamente e di creare un’alternativa.

                                                                               VENERDI  1 FEBBRAIO 2013, ORE 11:00

 

 

                                                                      INCONTRIAMOCI TUTTI DAVANTI ALL’E.R.S.U.

                                                               E RESTITUIAMO AL MITTENTE LE RACCOMANDATE!

 

                                               

                                                                                       NESSUNA BORSA INDIETRO!

                                                                       

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                                                                                                                                         Collettivo Universitario Autonomo Casteddu

 

STORIE DI ORDINARIA MERITOCRAZIA

assegnidimeritoL’ ASSEGNO DI MERITO: PARADIGMA DELLO STUDENTE INDEBITATO

 La figura dello “uomo indebitato”, prodotto dei continui tagli alla spesa pubblica da parte dei governi e di un’idea economica cinica e votata all’impoverimento, è quella che maggiormente si è affermata nel panorama sociale degli ultimi 25 anni. All’interno dell’azienda università è lo studente, o in alcuni casi la sua famiglia, a dover fare i conti con l’indebitamento sempre più massiccio che negli anni si è costretti a contrarre per iniziare e proseguire gli studi. I finanziamenti che lo Stato mette a disposizione per risolvere il problema non son sufficienti e, come nel caso degli assegni di merito, diventano una causa che, paradossalmente, acuisce maggiormente il disagio del debito. Gli assegni di merito possono senza dubbio essere presi come un paradigma della condizione dello studente indebitato, di studenti e famiglie che i governi fanno finta di non vedere, dell’impossibilità di essere al contempo virtuoso e meritevole in un sistema nel quale la pressione fiscale riesce ad annullare gli stessi finanziamenti allo studio. Questa è la storia che è successa a Gianmario (nome fittizio), uno tra i tanti ragazzi che, avendo beneficiato dell’assegno di merito, si è visto costretto a modificare le condizioni e il percorso della propria carriera universitaria e di conseguenza della vita stessa.

 

 

Ciao Gianmario puoi raccontarci la tua storia?

« Mah, una storia personale come tante. Sono nato in una famiglia semplice, mia madre casalinga e mio padre operaio, stroncato da un male incurabile ad appena 40 anni; io ne avevo appena 11 e mi sono ritrovato presto a fare l’ometto di casa. Dopo il diploma ho subito iniziato a lavorare come operaio per qualche anno, finché non mi sono iscritto all’Università: da qui ho iniziato a lavorare part-time e a dedicarmi agli studi. Mi sono laureato alla triennale qualche mese fa ed ora sono immatricolato ad un corso di Laurea Magistrale. Ho partecipato al bando 2009-2010 (per gli assegni di merito), al quale sono risultato beneficiario; io ho ricevuto un importo di circa 4000 euro. Il primo anno dell’Università ero matricola e ho ricevuto la borsa di studio ERSU: questo mi ha permesso di iniziare gli studi. Senza la borsa non sarebbe stato possibile iscrivermi perché la vita a Cagliari è cara; la mia famiglia non può permettersi di pagarmi gli studi e con un lavoretto part-time di poche ore alla settimana non si paga nemmeno l’affitto. »

Cos’ha comportato ricevere l’assegno di merito in un clima di continui tagli alle borse di studio?

« Non voglio essere ipocrita: l’anno scorso ero fuori corso e mi ha aiutato per coprire le spese: affitto, pasti, spese per la tesi. Non avevo però considerato una cosa: il fatto che l’assegno vada dichiarato nei redditi e contribuisca all’aumento dell’ISEE della famiglia. Nel mio caso l’ISEE raddoppia, perché mia madre vive con una misera pensione. I tagli hanno influito pesantemente, basta guardare le graduatorie ERSU degli scorsi anni. Quest’anno oltre il 60% delle matricole di I e II livello non è borsista: chi ha un ISEE superiore a 7800 euro non ha diritto alla borsa di studio né alla casa dello studente. Quando si parla di matricole è chiaro che c’è di mezzo l’opportunità di studiare, ossia la possibilità di accesso ai più alti livelli dell’istruzione: se si superano di poco i 7800 euro non si ha l’opportunità. Ma una famiglia con 7800 euro di ISEE difficilmente può permettersi di far studiare un figlio, specie se questo è fuori sede. »

Quali son i criteri di assegnazione che ti hanno estromesso da queste agevolazioni?

« Il criterio è solo uno: il reddito. Se si superano quei miseri 7800 euro di ISEE non si è borsisti. E’ una vergogna, non possono accedere agli studi i figli di un operaio generico, che per conoscenza supera quell’importo. Insomma, per studiare o si è figli di disoccupati (poveri loro) o si è figli di benestanti. »

Il racconto della tua esperienza fa emergere alcune criticità che influenzano negativamente la tua condizione studentesca. Hai provato a cercare qualche risposta dalle istituzioni competenti?

« Mi sono rivolto prima all’ERSU, ma la risposta è stata inequivocabile: hanno tagliato i fondi. »

La classica risposta che negli ultimi anni viene utilizzata dalle istituzioni, che scaricano i costi sociali della crisi sulle persone. Questi tagli, contestualizzando alla condizione studentesca, a Cagliari hanno comportato un taglio drastico alle borse di studio, un aumento delle tasse, una minore disponibilità di posti alloggio e un peggioramento generale offerta formativa.

« Per quanto riguarda il fatto che l’assegno di merito vada inserito nella dichiarazione dei redditi, mi hanno detto che non era compito loro discutere di questo: “andate in regione”. Sono andato in regione, all’Assessorato Cultura e Pubblica Istruzione: mi hanno detto che l’Agenzia delle Entrate considera l’assegno di merito come un reddito assimilato (link), quindi la regione non è responsabile di questo scandalo; mi hanno detto che i criteri per l’assegnazione non rientrerebbero in quelli previsti per le borse di studio (es. ERSU) e che quindi l’importo va dichiarato. Io invece non trovo differenze sostanziali tra l’assegno di merito e le borse ERSU. »

Cos’è cambiato dal punto di vista del reddito, del lavoro e dell’abitazione? Ti sei trovato costretto a rivalutare le tue scelte di vita?

« Mi sono laureato con il massimo dei voti, ma ora rischio di non poter proseguire gli studi. Non ho ricevuto la casa dello studente, non ho diritto alla borsa né ai pasti, insomma devo pagarmi gli studi. Per vivere e studiare a Cagliari, senza nessuna pretesa, servono 500 euro al mese. Per guadagnare questi soldi è necessario lavorare ogni giorno, togliendo tempo allo studio, rinunciando a qualche lezione con un risultato inevitabile: si allungano i tempi di studio e aumentano le tasse, e si entra in un circolo vizioso in cui più lavori, meno studi, più aumentano le tasse, più devi lavorare: non se ne esce più.
Credo che chi ci amministra non sia mai stato nella condizione di studente fuori sede e, se lo è stato, era benestante. »

Cos’avrebbe comportato non dichiarare all’interno del reddito l’assegno di merito? Ti sarebbe convenuto in termini economici?

« Probabilmente una sanzione da parte di Equitalia, si dice, intorno ai 500 euro. Ma pensa quali vantaggi: avrei avuto casa, pasti e borsa.. ne sarebbe valsa la pena. Insomma, se avessi fatto il disonesto avrei potuto proseguire con tranquillità gli studi. »

[ Tale espressione mette in luce la contraddizione che emerge tra gli slogan utilizzati dal governo Monti che, attraverso una spettacolarizzazione della lotta all’evasione fiscale, ha trovato il capro espiatorio della crisi economica e sociale in chi non paga le tasse. In realtà, gli stessi processi burocratici delle istituzioni costringono le persone a non poter sostenere tutti i costi che il sistema – nel nostro caso quello universitario – richiede, se non paradossalmente tramite gli stessi metodi e modalità criminalizzate. ]

« Inoltre, lavorare (in nero) mi preclude, di fatto, la possibilità di concorrere il prossimo anno x l’assegnazione della borsa di studio e il posto alloggio, poiché ho a disposizione meno tempo rispetto agli altri studenti che concorrono per ottenere questi benefici e hanno la possibilità di dedicarsi a tempo pieno allo studio. Arrivati a questo punto, una delle possibilità che stavo valutando era quella di ritirarmi quest’anno e iscrivermi nuovamente l’anno prossimo, eliminando in questo modo il “fardello” dell’assegno di merito. »

Conosci altre persone in questa situazione?

« Conosco tante persone, in situazioni economiche difficili, che non possono studiare per i motivi che ho detto. Ma anche persone non matricole, che hanno raggiunto tutti i crediti previsti dai criteri ersu, peraltro con il massimo dei voti, e che si sono ritrovate senza né casa né borsa: non si dà l’opportunità di studiare né ai poveri e nemmeno ai meritevoli. Assurdo. »

 

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Negli ultimi tempi, attraverso il bombardamento mediatico, siamo stati assuefatti a due retoriche strumentali alle agende politiche:

 

  • GUERRA ALL’EVASIONE FISCALE: se si pagano le tasse e si è in regola dal punto di vista legale con i pagamenti ci si può considerare virtuosi e meritevoli di proseguire la vita universitaria.
  • MERITOCRAZIA: per cui se studi regolarmente allora sarai in grado di ottenere le borse di studio e proseguire la carriera universitaria.

 

La falla burocratica, sembra essere causata da una “mancanza di comunicazione tra le istituzioni”. Ma sino a che punto possiamo definirla in questo modo, dal momento che al loro primo anno l’equiparazione tra assegno di merito e reddito non veniva esplicitata e solo dopo (link) le contestazioni dei beneficiari le istituzioni hanno reso chiaro e ben visibile questo passaggio?

In realtà la “falla burocratica”, la contraddizione tra gli strumenti utilizzati delle istituzioni, mette in luce tre aspetti dell’università-azienda:

1) a dispetto dello smantellamento dell’università, dei tagli alla formazione, vi è la necessità di strumenti, di natura prettamente finanziaria che supportino la bontà e la funzionalità del sistema meritocratico e di aziendalizzazione.

2) l’incapacità di gestire quegli stessi strumenti, capaci solo di produrre competizione e non cooperazione, povertà invece che arricchimento, sia economica del singolo che del sapere collettivo.

3) il tentativo, impossibile sul piano logico, di dare un valore di tipo economico e sociale alla conoscenza.

Ma è realmente possibile misurare la qualità e la quantità del sapere, quando questo è un bene che si produce e accresce all’interno e tramite le relazioni sociali? Può esistere una norma capace di individuare i parametri di valutazione della conoscenza? Chiaramente no, a meno di non considerare l’università un’azienda il cui unico scopo è la produzione di lavoratori indottrinati e lo studio una mera accumulazione di crediti e superamento di esami.

Contestare questo tipo di meccanismi vuol dire affermare un sapere cooperativo e non privato.

Reclamare reddito che sia scollegato dalle logiche del merito significa favorire la produzione comune e dunque la soddisfazione dei desideri e dei bisogni che da essa emergono.

Mense ERSU: il piatto piange!

il-piatto-piange-L-z0gx9nDando un’occhiata alla trasformazione del servizio ristorazione ERSU negli ultimi anni, un dato politico emerge forte e chiaro: aumentano i prezzi, peggiora la qualità.

E’ così infatti che se uno studente di seconda fascia nel 2007 pagava 1.80 a pasto, quest’anno coloro il cui ISEEU (Indicatore della Condizione Economica Equivalente) non supera gli undici mila euro, limite della prima fascia, si trova costretto a dover sborsare 2 euro. Emblema della condizione studentesca, su cui si abbatte l’aumento del costo dei pasti, sono gli idonei non beneficiari, ovvero quelle strane figure che pur avendo diritto subiscono l’apparente carenza di fondi da parte dell’Ente per il Diritto allo studio. Per loro è previsto un massimo di 240 pasti gratuiti esclusivamente nel periodo delle lezioni. Se si è iscritti al primo anno, manco quello. Non se la passano meglio coloro che sono beneficiari di borsa di studio e alloggiano presso Casa dello Studente (sempre che questa non sia chiusa per lavori causati da anni di indifferenza ed incuria da parte di chi se ne sarebbe dovuto occupare) che, terminati i 240 pasti gratuiti, si trovano nella simpatica situazione di non poter fare la spesa e cucinare in casa (il regolamento non lo consentirebbe). Sono esclusi invece dal diritto al pasto gratuito coloro che pur essendo beneficiari sono pendolari (o risultano tali perché il padrone di casa affitta in nero). A coloro che non hanno la possibilità di permettersi il costo del servizio, la risposta dell’ERSU, che in questo rivela la propria natura aziendalista, interessata esclusivamente al ripianamento del proprio bilancio, è chiara: ARRANGIATEVI!                                                                                                            

Non solo. Da quest’anno, l’Ente regala agli studenti la possibilità di contribuire ulteriormente alla gestione del sistema attraverso l’invenzione di un contributo di un euro, richiesto al momento del rilascio della tessera (come se non bastasse l’aumento esponenziale delle tasse).

A tutto ciò corrisponde un servizio tutt’altro che efficiente. Coloro che non arrivano in mensa all’orario di apertura devono rassegnarsi all’idea di fare una lunga fila, di cui non sono certo responsabili i lavoratori, chiamati a sopperire alla carenza di personale in cambio di uno stipendio misero, sperando di trovare da mangiare o dovendosi sbrigare perchè la mensa chiude. E la domenica? Giornata di riposo per i tanti studenti fuori sede si potrebbe andare in mensa, per evitare di dover cucinare in casa.   No, da qualche mese a questa parte questo non è possibile. La chiusura della mensa di Via Trentino, l’unica aperta la domenica, a partire dal mese di settembre, per lavori di ampliamento e ristrutturazione ha tolto anche questa possibilità. Qualcuno potrebbe dire: preferite mangiare cibo riscaldato, fettine che sembrano suole di scarpa con posate di plastica (nella migliore delle ipotesi due o tre si distruggevano nel tentativo)? Ma di chi è la responsabilità del fatto che per anni questa fosse la norma?

Tutto questo è il frutto di una chiara scelta politica. La stessa che fa sì che, in un contesto come quello cagliaritano dove la sola mensa di Via Premuda è a gestione diretta ERSU, un servizio sociale fondamentale si trasformi in terra di conquista per i privati. Lo studente è lasciato solo dalle associazioni della rappresentanza studentesca, sempre più impegnate a dialogare con le istituzioni responsabili di questo sistema e a sedare gli animi degli studenti ogni volta che questi provano ad alzare la testa. Non si può non pensare a quelle “nuove forme di finanziamento” evocate da Monti per il servizio sanitario nazionale, che si inseriscono in un più ampio progetto (quello delle esternalizzazioni) di svuotamento del pubblico a tutto vantaggio dei privati. L’esternalizzazione dei servizi tanto sbandierata come portatrice di efficienza, in realtà, come mostra la gestione del servizio ristorazione ERSU, non è altro che fonte di impoverimento, ed emblema del progressivo isolamento in cui vivono studenti e lavoratori, lasciati soli in una costante condizione di precarietà ed incertezza.

Costruiamo, tutti insieme, studenti e lavoratori una lotta dal basso che porti alla riappropriazione del servizio!

 

La coperta corta delle borse di studio

Snoopy Walking LinusIl ricorso al T.A.R. e la costruzione delle lotte contro l’impoverimento.

La questione sollevata dal ricorso al T.A.R. Sardegna, promosso dalla lista maggioritaria della rappresentanza studentesca, contro il mancato rispetto da parte dell’ERSU degli importi minimi delle borse di studio, scopre le falle di sistema degli strumenti di garanzia sociale dentro la crisi. Il corto circuito innescato dal ricorso e dalla conseguente risposta dell’ente per il diritto allo studio ci parla del carattere di una nuova governamentalità della cosa pubblica, fatta di austerità e amministrazione della povertà come dispositivi di controllo e segmentazione sociale.
Ricostruiamo la vicenda per come si è sviluppata fino ad ora.

 Gli importi minimi delle borse di studio fissati dal Decreto Ministeriale del 22 maggio 2012 non sono rispettati dall’ERSU. Si legge in una nota del 5 dicembre 2012 di Unica 2.0: “Tra l’importo previsto nel “Bando di concorso per l’attribuzione di borse di studio e di posti alloggio a.a. 2012/2013” dell’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario di Cagliari, e quello stabilito dal decreto ministeriale, vi è una elevatissima differenza di 1.285,40 euro, superiore al 35% dell’importo della borsa. Per le borse di studio degli studenti PENDOLARI vi è invece una differenza di 658,27 euro ed infine per quelle degli studenti IN SEDE vi è una differenza pari a 450,95 euro.”
Tutto vero, certo. Ma cosa succede se si ricorre al T.A.R.?

 Lo spiega l’ERSU in un avviso apparso sul sito dell’ente il 19 dicembre: “Si precisa che i pagamenti sono disposti in pendenza del ricorso giurisdizionale, presentato al TAR Sardegna da alcuni beneficiari, per l’annullamento della graduatoria di assegnazione delle borse di studio e del presupposto bando di concorso, nella parte in cui sono stati previsti gli importi unitari delle borse di studio (art.12).
Qualora il ricorso venisse accolto, e dovesse essere deciso di incrementare gli importi minimi delle borse di studio, l’Ente dovrà riformulare le graduatorie con conseguente diminuzione del numero dei beneficiari.
Pertanto, in caso di decadenza dalla titolarità della borsa di studio, l’Ente si riserva di chiedere la restituzione delle somme ai beneficiari.”

 L’ERSU si deresponsabilizza completamente. Risponde che lo stanziamento di fondi per l’anno in corso non può essere rivisto perché lo stanziamento è competenza della Regione Sardegna. L’ERSU inizia allora a recapitare – con non molto criterio – avvisi via e-mail e tramite raccomandata un po’ a tutti i beneficiari, minacciando con questi di imporre la restituzione delle borse. L’ente per il diritto allo studio sceglie comunque la via dell’intimidazione per testimoniare del proprio svuotamento e della propria impotenza, ponendo sotto ricatto e gettando nell’incertezza centinaia di studenti e studentesse che molti di quei soldi già li hanno spesi o contano di spenderli per pagare gli affitti, rinnovare gli abbonamenti ai trasporti pubblici, comprare i testi, mantenersi in città.

 Il ricorso ha fatto emergere un fatto: le borse di studio sono come una coperta troppo corta, in troppi rimangono scoperti (quest’anno il numero degli idonei non beneficiari raggiunge il 42% del totale degli aventi diritto) e se si pretende una coperta migliore la maglia sarà più fitta ma la coperta più corta, scoprendo sempre più persone.
La verità è che in questo frangente assistiamo con chiarezza a un conflitto latente nella crisi, il conflitto tra ordine del comando politico-finanziario fatto di taglio alla spesa pubblica, vecchi istituti del welfare e legge che regolava questi istituti.
La retorica della rappresentanza studentesca, o comunque di qualsiasi soggetto non antagonista al sistema in ristrutturazione, per quanto critico rispetto a questo, si serve della figura del diritto: bisogna “difendere i diritti degli studenti”, dicono. Eppure succede che appellarsi alla legge, ricorrere al T.A.R., diventa non più la possibilità di ristabilire un diritto secondo la norma ma, anzi, la certezza di svelare il carattere del comando finanziario radicalizzandone la violenza e questo poiché il diritto è espressione di una legge ineffettuale, norma di rapporti non più esistenti che produssero uno stato sociale non più soddisfacibile perché è venuto meno il patto che lo fondava.

 Davanti a questo, politicamente, non conta tanto “assumersi responsabilità morali”, quanto piuttosto è importante assumere integralmente il piano imposto dal nuovo comando, dotarsi di nuovi strumenti. Infatti il corto circuito innescato dal ricorso mostra come l’insufficienza degli attuali istituti welfaristici non risieda nella loro cattiva gestione.
Il sottofinanziamento strutturale ci parla di un preciso indirizzo il quale però, proprio perché ristruttura il significato e la natura di certi istituti, non può essere aggredito e combattuto politicamente per il verso dell’appello alla legge che normava uno stato di cose ormai sospeso dalla materialità dei rapporti esistenti. E allora è inutile appellarsi ai diritti impossibili sanciti da leggi ineffettuali, a meno di non misurarsi con le contraddizioni tra piano di diritto e piano di fatto delle cose. Raccogliere la sfida, rifiutare questi rapporti sostanziati dall’ingiunzione al sacrificio, vuol dire necessariamente passare per la costruzione di nuove istituzioni, il che direttamente significa costruirci le nostre garanzie, ovvero produrre relazioni capaci innanzitutto di resistere a chi ci impone di restituire, non ciò che è un nostro diritto, ma ciò che ci serve.
Fronteggiare sullo stesso piano il comando dell’austerità finanziaria sulle nostre vite significa allora innanzitutto fronteggiarlo opponendogli un contropotere fatto di relazioni nuove che ponga al centro la volontà di riappropriarsi della ricchezza sociale passando per il rifiuto di tutto il sistema di produzione dell’impoverimento, individuando dunque Regione e ERSU come controparti immediate.

 Il 9 di gennaio si terrà la prima udienza al T.A.R. in camera di consiglio. Costruiamo i momenti di incontro per organizzare le forme della nostra opposizione, costruiamo un’assemblea dopo l’udienza. Non una borsa indietro, costruiamoci le nostre garanzie!

Collettivo Universitario Autonomo Casteddu

“Piccolo manuale sul discorso della governance ad uso delle nuove generazioni” a cura di Daniela Noli, Presidente ERSU

L’ordine del discorso nelle politiche sulla nostra vita.

No, forse ci siamo sbagliati. Il dialogo – bella parola eh – c’è. Vogliono parlare con tutti noi. “Confrontarsi”, dicono. Ma su cosa poi? Come studenti che hanno deciso di lottare per opporsi ai saldi di fine estate dell’ERSU non ci ricordiamo di aver desiderato ancora alcun tipo di confronto… mah. Piuttosto, questo sì, vorremmo chieder conto di quanto ci spetta e poi organizzarci per prendercelo. Questo riguarda noi però. Altro capitolo, anzi altro volume.

Capitolo 1. Il mezzo di comunicazione: uso dei social network.

Succede che la Presidente dell’ ERSU, Daniela Noli, decide di interloquire con chi ha iniziato a parlare di un sistema di ruoli, di rapporti di potere e di politiche di impoverimento nella gestione della dismissione del welfare studentesco, anche a Cagliari.

Con uno stile amicale, un’informalità al limite del confidenziale, la Noli decide che il mezzo più adatto per comunicare con “i ragazzi” è facebook. Siamo pure nel tempo del 2.0, o no?

Chissà, forse ha pensato che i social network sono zone franche, innocue perché presidiate da “i giovani” – sì “i giovani”, una di quelle classi anagrafiche che abbiamo scoperto anche essere valide categorie politico-sociologiche quando serve reintegrare in un codice di compatibilità i nostri comportamenti sociali privandoli di qualsivoglia possibilità di significazione autonoma dell’esistente per la trasformazione futura; insomma, quei “giovani” sulla bocca del Francesco Alberoni di turno, l’esperto opinionista (preferibilmente docente universitario) su un qualsiasi noioso salotto televisivo di un assonnato primo pomeriggio. Chissà, pare che i salatissimi “master in pubbliche relazioni” che ci propinano insegnino molto su questo. Su questo? Ah sì, ci insegnano molto su di noi… a noi. Daniela Noli sicuramente ne sa qualcosa, dice di essere stata “formatrice di politiche giovanili”. Figuariamoci se non saprà dirci qualcosa su quello che siamo e che vogliamo.

Sì, forse la Noli non ha riflettuto bene sul fatto che anche i social network sono luoghi in cui si producono discorsi e appartenenze, luoghi dove si costruisce resistenza o si impone accettazione.

Capitolo 2. Relazionarsi e disciplinare entro un ordine del discorso.

Ad ogni modo, la governance nella crisi, ovvero le strategie di dismissione del welfare tramite l’austerity, disciplina le istanze sociali nella relazionalità. La Noli lo intuisce bene questo. Eccola quindi su facebook. Per dialogare, per proporre un discorso, per farlo consumare e consumarci in questo.

Ciò che conta in fondo per la governance è “produrre e far consumare discorso” in modo da risolvere in questa reitarata pratica consumatoria la “mancanza a essere”, del soggetto. Lacan forse si esprimerebbe così. In questo modo infatti parlava del “nuovo discorso”, sostituto del “discorso del padrone”; il “discorso del capitalista”1 per Lacan, il “discorso della governance”, per noi.

I termini della relazionalità del linguaggio allora diventano limiti di applicabilità delle politiche sulla vita proprio perché la vita stessa sulla relazionalità si produce. Allora bisogna organizzare un discorso farlo consumare – più che condividerlo – per produrre forme di vita disposte ad accettare un ordine di declassamento materiale delle nostre condizioni. Le politiche di austerità – la richiesta di sacrifici, si impone anche e soprattutto con un discorso preciso. Il discorso – la sua forma, i suoi vincoli e i suoi interdetti – produce nuovi legami sociali, nuove relazioni di forza e nuove soggettività a queste relazioni assoggettate. “Che cos’è un discorso? È ciò che nell’ordine… nell’ordinamento di ciò che si può produrre grazie all’esistenza del linguaggio, ha funzione di legame sociale”2.

Eppure, in quanto i rapporti sociali possono essere forzati e trasformati, questo discorso sconta i suoi limiti davanti alla potenza autonoma del desiderio dei soggetti che vorrebbe nominare.

Capitolo 3. Ristrutturare l’offerta per pacificare: i limiti della domanda.

 

Infatti, la governance produce oggetti desiderabili fissando però la scarsità di questi ed organizzandola discorsivamente, affinché sempre ci sia consumo governabile (limite che è anche la dimensione della subalternità della soggettività prodotta). Ogni volta che, nella forzatura dei rapporti sociali, si domanda di più, la governance ristruttura la propria offerta fino a quando questa ancora non viene consumata. Eppure, sempre come osserva Lacan, questa pratica “astuta” è “destinata a scoppiare. Perché è insostenibile (…) va così velocemente da consumarsi, si consuma fino a consunzione”3. Proprio su questo limite: sulla capacità di formulare una domanda non reintegrabile salta la possibilità per la governance di disciplinare i corpi e le vite entro l’ordine del discorso da essa stessa prodotto.

Non solo, c’è la possibilità di pervenire all’ “offerta minima” del discorso della governance portandolo alla sua ristrutturazione ultima. Lo stadio in cui il discorso perde le sue qualità affabulatorie e riduce le sue figure concettuali ai limiti di espressione delle soggettività che produce. Questo è capitato a Daniela Noli, Presidente dell’ERSU, la quale, incalzata da poche domande che presto hanno consumato il suo discorso, si è poi fatta travolgere dalle idiosincrasie del suo ruolo mettendo così a nudo i sitemi di costrizione discorsiva nella concretezza degli obbiettivi funzionali alla formazione di soggetti capaci di consumare solo entro i limiti di ciò che è reintegrabile.

Ecco un saggio del breviario della Noli.

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