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Via Trentino : la mensa che non c’è

casadellostudenteaaaaviatreDagli uffici di Corso Vittorio Emanuele, sede dell’ ERSU (Ente Regionale per il Diritto allo Studio), tutto tace.

Nonostante la mensa di Via Trentino sia chiusa da diversi mesi per improrogabili lavori di ampliamento e ristrutturazione, il problema non sembra essere condiviso. “In fondo, ci sono le altre mense. Non dipende da noi. Ci scusiamo per il disagio”, dicono.

E poco importa che, tra una lezione e l’altra, si abbiano solo una o due ore, come spesso capita agli studenti dei poli universitari di Piazza d’Armi e di Viale Fra Ignazio, per attraversare la città e raggiungere la mensa di Via Premuda o Piazza Michelangelo, in pullman (magari in ritardo e sovraffollati), fare la fila e mangiare in fretta un pasto sempre più caro , sperando di fare in tempo prima che la mensa chiuda e/o di dover tornare di corsa a  lezione. Poco importa che l’alternativa sia pagare di tasca propria un pasto che dovrebbe essere già garantito, non potendo magari cucinare perché la propria condizione abitativa non lo consente.

Coloro che sono andati a chiedere conto hanno ricevuto solo risposte vaghe dalla sede dell’Ersu. Non un comunicato di scuse, non una data di riapertura.

” Abbiate pazienza “, “La mensa riaprirà a fine Febbraio”.

Poi, “Ci sono dei problemi con l’iter di approvazione burocratica in Comune “ – “Dovremmo riaprire per la fine di Marzo”.

Ad Aprile inoltrato ancora non si sa nulla. Quanto tempo dovremo ancora aspettare?

Il messaggio che passa, nel silenzio, è: ARRANGIATEVI!

Non sembra essere percepita la necessità di dare delle risposte alternative e concrete a chi continua a subire le incapacità strutturali di un Ente sempre più portato a riversare l’acuirsi della crisi sugli studenti. Rispetto, dignità, emancipazione ed autonomia sono concetti che vengono cinicamente sacrificati sull’altare della “mancanza delle risorse” e della “crisi”. E i pochi servizi che vengono garantiti vengono fatti passare per gentili concessioni.

 Parliamoci chiaro: per chiunque abbia mangiato in Via Trentino, i lavori erano necessari ed improrogabili.

E’ curioso osservare come l’emergenza Via Trentino cada nel momento in cui l’Università è costretta a svendere parte del proprio patrimonio immobiliare per adempiere agli impegni di bilancio. Non sarebbe stato meglio riutilizzare quegli spazi per limitare il disagio creato a tanti studenti dalla chiusura di Via Trentino? “Non sapete di cosa state parlando” diranno. Ma come mai non è stato nemmeno possibile riorganizzare il sistema in modo tale da far sì che una mensa tra Via Premuda e Piazza Michelangelo, nelle quali sono stati dirottati i lavoratori di Via Trentino dopo aver rischiato di finire in cassintegrazione, rimanesse aperta la domenica? E adesso, di chi è la responsabilità?

Lavoriamo per garantirvi il minor disagio possibile con gli scarsi fondi che abbiamo”.

E sicuramente devono aver pensato così anche coloro che a seguito della presentazione del ricorso al TAR,, sono stati colpiti da lettere minatorie per via raccomandata (alla faccia della crisi) con le quali, nel caso in cui il ricorso fosse stato accolto, si intimava la restituzione degli importi già percepiti.

 La condizione degli studenti cagliaritani continua a complicarsi: Aumento esponenziale del numero degli idonei non beneficiari, taglio dell’importo delle borse , meccanismi sempre più improntati alla meritocrazia, carenza strutturale rivelata dalla incapacità di offrire risposte alternative alla chiusura di due case dello studente su cinque; tutto questo mentre i soldi pubblici vanno a finanziare strutture come il College Sant’Efisio .  Non sarà tutto parte dello stesso film???

L’immagine che il “caso via Trentino” ci consegna è quella di un Ente che, trincerandosi dietro la propria presunta tecnicità, si rivela incapace di rispondere ai reali bisogni dei soggetti che è chiamato a proteggere. Non caso unico, ma emblema di un welfare fondato esclusivamente sulla disciplina di bilancio.

Rispetto a questo quadro non possiamo tornare indietro. Sappiamo però che la lotta contro questi dispositivi e contro la governance che li impone ha guadagnato per noi una sua dimensione specifica: se nessuna mediazione è possibile non abbiamo che la riappropriazione contro l’impoverimento.

Ricercare strade alternative ripartendo dalla socialità e dalla cooperazione per rispondere al disagio e al malessere generato dalle scelte della governance è possibile:

” Pranzare insieme all’interno degli spazi universitari non è solo un’occasione per vivere in maniera diversa dal solito uno spazio che è nostro ma l’occasione per ripensare criticamente il mondo che ci circonda, ripartendo dalla socialità e dalla cooperazione.”

   ♦          NOI LA CRISI CE LA MANGIAMO!      

Quando? Lunedì 22 aprile, Fronte Biblioteca Interfacoltà dalle 13:00 alle 15:00. 

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Mense ERSU: il piatto piange!

il-piatto-piange-L-z0gx9nDando un’occhiata alla trasformazione del servizio ristorazione ERSU negli ultimi anni, un dato politico emerge forte e chiaro: aumentano i prezzi, peggiora la qualità.

E’ così infatti che se uno studente di seconda fascia nel 2007 pagava 1.80 a pasto, quest’anno coloro il cui ISEEU (Indicatore della Condizione Economica Equivalente) non supera gli undici mila euro, limite della prima fascia, si trova costretto a dover sborsare 2 euro. Emblema della condizione studentesca, su cui si abbatte l’aumento del costo dei pasti, sono gli idonei non beneficiari, ovvero quelle strane figure che pur avendo diritto subiscono l’apparente carenza di fondi da parte dell’Ente per il Diritto allo studio. Per loro è previsto un massimo di 240 pasti gratuiti esclusivamente nel periodo delle lezioni. Se si è iscritti al primo anno, manco quello. Non se la passano meglio coloro che sono beneficiari di borsa di studio e alloggiano presso Casa dello Studente (sempre che questa non sia chiusa per lavori causati da anni di indifferenza ed incuria da parte di chi se ne sarebbe dovuto occupare) che, terminati i 240 pasti gratuiti, si trovano nella simpatica situazione di non poter fare la spesa e cucinare in casa (il regolamento non lo consentirebbe). Sono esclusi invece dal diritto al pasto gratuito coloro che pur essendo beneficiari sono pendolari (o risultano tali perché il padrone di casa affitta in nero). A coloro che non hanno la possibilità di permettersi il costo del servizio, la risposta dell’ERSU, che in questo rivela la propria natura aziendalista, interessata esclusivamente al ripianamento del proprio bilancio, è chiara: ARRANGIATEVI!                                                                                                            

Non solo. Da quest’anno, l’Ente regala agli studenti la possibilità di contribuire ulteriormente alla gestione del sistema attraverso l’invenzione di un contributo di un euro, richiesto al momento del rilascio della tessera (come se non bastasse l’aumento esponenziale delle tasse).

A tutto ciò corrisponde un servizio tutt’altro che efficiente. Coloro che non arrivano in mensa all’orario di apertura devono rassegnarsi all’idea di fare una lunga fila, di cui non sono certo responsabili i lavoratori, chiamati a sopperire alla carenza di personale in cambio di uno stipendio misero, sperando di trovare da mangiare o dovendosi sbrigare perchè la mensa chiude. E la domenica? Giornata di riposo per i tanti studenti fuori sede si potrebbe andare in mensa, per evitare di dover cucinare in casa.   No, da qualche mese a questa parte questo non è possibile. La chiusura della mensa di Via Trentino, l’unica aperta la domenica, a partire dal mese di settembre, per lavori di ampliamento e ristrutturazione ha tolto anche questa possibilità. Qualcuno potrebbe dire: preferite mangiare cibo riscaldato, fettine che sembrano suole di scarpa con posate di plastica (nella migliore delle ipotesi due o tre si distruggevano nel tentativo)? Ma di chi è la responsabilità del fatto che per anni questa fosse la norma?

Tutto questo è il frutto di una chiara scelta politica. La stessa che fa sì che, in un contesto come quello cagliaritano dove la sola mensa di Via Premuda è a gestione diretta ERSU, un servizio sociale fondamentale si trasformi in terra di conquista per i privati. Lo studente è lasciato solo dalle associazioni della rappresentanza studentesca, sempre più impegnate a dialogare con le istituzioni responsabili di questo sistema e a sedare gli animi degli studenti ogni volta che questi provano ad alzare la testa. Non si può non pensare a quelle “nuove forme di finanziamento” evocate da Monti per il servizio sanitario nazionale, che si inseriscono in un più ampio progetto (quello delle esternalizzazioni) di svuotamento del pubblico a tutto vantaggio dei privati. L’esternalizzazione dei servizi tanto sbandierata come portatrice di efficienza, in realtà, come mostra la gestione del servizio ristorazione ERSU, non è altro che fonte di impoverimento, ed emblema del progressivo isolamento in cui vivono studenti e lavoratori, lasciati soli in una costante condizione di precarietà ed incertezza.

Costruiamo, tutti insieme, studenti e lavoratori una lotta dal basso che porti alla riappropriazione del servizio!

 

Il portiere aspetti sull’uscio… prima del lastrico. Il Rettore precarizza il servizio di portierato per risparmiare

Esprimiamo grande solidarietà ai lavoratori dei servizi esecutivi dell’Università di Cagliari, da ieri in mobilitazione.

L’esternalizzazione dei servizi da parte dell’Università pubblica si traduce nel peggioramento della qualità degli stessi e delle condizioni lavorative dei dipendenti coinvolti. Infatti la logica con cui questi servizi sono appaltati mira esclusivamente al rientro in bilancio dettato dal processo di aziendalizzazione dell’Università pubblica. Cosa comporta un’aziendalizzazione in un settore delicato come l’istruzione? Un settore che dovrebbe garantire un’alta qualità di formazione privilegia il proprio rendimento economico a scapito dei servizi offerti a noi tutti. Non siamo più disposti a tollerare la svendita di servizi universitari che ci appartengono e vedere soldi che ci spettano andare al miglior offerente che porta allo sfascio completo di un servizio pubblico fondamentale per tutti. L’aziendalizzazione non comporta solo uno scadimento nella formazione ma anche la precarizzazione delle condizioni lavorative, con una mancanza di continuità nel rapporto di lavoro, ovvero a una mancanza di reddito adeguato, condizione indispensabile per poter pianificare una vita dignitosa presente e futura.

L’Ateneo cagliaritano, il “Magnifico” rettore e gli annessi apparati decisionali ci danno un chiaro esempio del servile adeguamento alla politica dell’austerità. Ecco come: gli impieghi di portierato e multiservizi sono stati esternalizzati attraverso una gara d’appalto al ribasso il cui unico criterio di aggiudicazione è il “prezzo più basso” (guardare il bando, vedere per credere! ).

Il bando di gara viene necessariamente riproposto ogni due anni in quanto non soggetto a possibilità di rinnovo; questo comporta una condizione di assoluta precarietà dei lavoratori che ogni due anni si devono confrontare con condizioni dell’erogazione del servizio sempre diverse. Il gioco del bando al ribasso è stato vinto da una società che ha offerto sul piatto una somma inferiore del 30% circa rispetto alla commessa di partenza.  L’azienda, per soddisfare le direttive del bando fatto al ribasso, deve necessariamente “riorganizzare” l’orario settimanale (per cui alcuni lavoratori subiscono una riduzione da 40 a 15 ore per settimana) e ridurre la paga oraria che in alcuni casi tocca a malapena l’ammontare di 500 € mensili. Tutto questo è stato reso possibile dalla costituzione ad hoc di “sindacati” che sono dirette emanazioni dell’UNCI (Unione Nazionale Cooperative Italiane), i quali ignorano i vincoli del Contratto Nazionale “Servizi Integrati e Multiservizi”, vincoli che informano il bando di gara indetto dell’Università di Cagliari. Su questa negligenza a quanto pare l’Ateneo ha chiuso più di un occhio, su questa negligenza pende un ricorso.

Le cooperativi vincitrici, SFL (Lecce) e Leader service (Bari), hanno imposto un ricatto ai lavoratori: quello di essere assunti come socio-dipendenti; l’unica alternativa è quella di perdere il posto di lavoro. Cosa significa essere assunto come socio-dipendente? Vuol dire aderire allo statuto della cooperativa che garantisce solamente le tutele di base al lavoratore, senza aver diritto agli ammortizzatori sociali e precludendosi qualsiasi possibilità di muovere eventuali mozioni migliorative per la propria condizione. Inoltre, con questi nuovi contratti, si determina l’interscambio delle categorie attraverso il quale personale non qualificato si trova a dover svolgere mansioni diverse dalle proprie; le categorie normalmente adibite al servizio di portierato si ritrovano di fatto a dover adempiere ai compiti dei multiservizi senza averne le competenze.

Il meccanismo di interscambio tra le mansioni delle categorie contrattuali rivela la contraddittorietà del principio di accreditamento che si vuole metro di valutazione e selezione ma non corrisponde alle effettive richieste del mercato liberista, regolato invece esclusivamente da una competitività a ribasso. Dobbiamo intraprendere percorsi di studio eccessivamente lunghi e di conseguenza entriamo troppo tardi nel mondo del lavoro; questo determina un complessivo assetto di impoverimento sociale, dato anche dall’enorme investimento economico necessario a conseguire qualifiche che prevedono una strada segnata da una selezione dai tratti sempre più classisti. La formazione universitaria ci dà l’illusione di andare a coprire un posto di lavoro altamente qualificato ma il lavoro che ci rifilano, in nome della competitività, ha esclusivamente caratteri dequalificati e dequalificanti nella professione e nel salario. La formazione universitaria è ben lontana dal rispettare il suo ruolo storico di “ascensore sociale”. Ci raccontano ancora possa fornire una qualifica che permetta di accedere in posizione privilegiata al mondo del lavoro, ma nei fatti l’enorme valorizzazione di “capitale umano” prodotta nelle università si traduce, nello stesso mondo del lavoro, in riduzione delle nostre capacità e impoverimento della nostra ricchezza sociale alla quale pretendiamo, invece, venga riconosciuto reddito, dignità e libertà di organizzazione sociale, oltre la scarsità prodotta dalle regole di mercato.

In questi termini riteniamo che questa lotta sia comune e che non possa concentrarsi sulla pura rivendicazione del posto di lavoro, bensì debba essere una lotta capace di mettere in discussione gli assetti generali che regolano lo stesso mondo del lavoro e parta dal rifiuto dei suoi dispositivi di sfruttamento e impoverimento.

Non siamo disposti a subire anche per il portierato dell’Università la lezione d’austerity del Prof. Melis! No, la solita barzelletta non funziona più. Non siamo tutti sulla stessa barca. Melis, non sei vittima dei tagli, sei quello che decide di scaricare il costo dei tagli su lavoratori e studenti. Sei quello che vorrebbe racimolare qualche soldo a scapito del salario e della dignità di centinaia di persone.

Contro l’impoverimento, per 500 euro al mese, le porte dell’Università te le sbattiamo in faccia!