Esprimiamo grande solidarietà ai lavoratori dei servizi esecutivi dell’Università di Cagliari, da ieri in mobilitazione.
L’esternalizzazione dei servizi da parte dell’Università pubblica si traduce nel peggioramento della qualità degli stessi e delle condizioni lavorative dei dipendenti coinvolti. Infatti la logica con cui questi servizi sono appaltati mira esclusivamente al rientro in bilancio dettato dal processo di aziendalizzazione dell’Università pubblica. Cosa comporta un’aziendalizzazione in un settore delicato come l’istruzione? Un settore che dovrebbe garantire un’alta qualità di formazione privilegia il proprio rendimento economico a scapito dei servizi offerti a noi tutti. Non siamo più disposti a tollerare la svendita di servizi universitari che ci appartengono e vedere soldi che ci spettano andare al miglior offerente che porta allo sfascio completo di un servizio pubblico fondamentale per tutti. L’aziendalizzazione non comporta solo uno scadimento nella formazione ma anche la precarizzazione delle condizioni lavorative, con una mancanza di continuità nel rapporto di lavoro, ovvero a una mancanza di reddito adeguato, condizione indispensabile per poter pianificare una vita dignitosa presente e futura.
L’Ateneo cagliaritano, il “Magnifico” rettore e gli annessi apparati decisionali ci danno un chiaro esempio del servile adeguamento alla politica dell’austerità. Ecco come: gli impieghi di portierato e multiservizi sono stati esternalizzati attraverso una gara d’appalto al ribasso il cui unico criterio di aggiudicazione è il “prezzo più basso” (guardare il bando, vedere per credere! ).
Il bando di gara viene necessariamente riproposto ogni due anni in quanto non soggetto a possibilità di rinnovo; questo comporta una condizione di assoluta precarietà dei lavoratori che ogni due anni si devono confrontare con condizioni dell’erogazione del servizio sempre diverse. Il gioco del bando al ribasso è stato vinto da una società che ha offerto sul piatto una somma inferiore del 30% circa rispetto alla commessa di partenza. L’azienda, per soddisfare le direttive del bando fatto al ribasso, deve necessariamente “riorganizzare” l’orario settimanale (per cui alcuni lavoratori subiscono una riduzione da 40 a 15 ore per settimana) e ridurre la paga oraria che in alcuni casi tocca a malapena l’ammontare di 500 € mensili. Tutto questo è stato reso possibile dalla costituzione ad hoc di “sindacati” che sono dirette emanazioni dell’UNCI (Unione Nazionale Cooperative Italiane), i quali ignorano i vincoli del Contratto Nazionale “Servizi Integrati e Multiservizi”, vincoli che informano il bando di gara indetto dell’Università di Cagliari. Su questa negligenza a quanto pare l’Ateneo ha chiuso più di un occhio, su questa negligenza pende un ricorso.
Le cooperativi vincitrici, SFL (Lecce) e Leader service (Bari), hanno imposto un ricatto ai lavoratori: quello di essere assunti come socio-dipendenti; l’unica alternativa è quella di perdere il posto di lavoro. Cosa significa essere assunto come socio-dipendente? Vuol dire aderire allo statuto della cooperativa che garantisce solamente le tutele di base al lavoratore, senza aver diritto agli ammortizzatori sociali e precludendosi qualsiasi possibilità di muovere eventuali mozioni migliorative per la propria condizione. Inoltre, con questi nuovi contratti, si determina l’interscambio delle categorie attraverso il quale personale non qualificato si trova a dover svolgere mansioni diverse dalle proprie; le categorie normalmente adibite al servizio di portierato si ritrovano di fatto a dover adempiere ai compiti dei multiservizi senza averne le competenze.
Il meccanismo di interscambio tra le mansioni delle categorie contrattuali rivela la contraddittorietà del principio di accreditamento che si vuole metro di valutazione e selezione ma non corrisponde alle effettive richieste del mercato liberista, regolato invece esclusivamente da una competitività a ribasso. Dobbiamo intraprendere percorsi di studio eccessivamente lunghi e di conseguenza entriamo troppo tardi nel mondo del lavoro; questo determina un complessivo assetto di impoverimento sociale, dato anche dall’enorme investimento economico necessario a conseguire qualifiche che prevedono una strada segnata da una selezione dai tratti sempre più classisti. La formazione universitaria ci dà l’illusione di andare a coprire un posto di lavoro altamente qualificato ma il lavoro che ci rifilano, in nome della competitività, ha esclusivamente caratteri dequalificati e dequalificanti nella professione e nel salario. La formazione universitaria è ben lontana dal rispettare il suo ruolo storico di “ascensore sociale”. Ci raccontano ancora possa fornire una qualifica che permetta di accedere in posizione privilegiata al mondo del lavoro, ma nei fatti l’enorme valorizzazione di “capitale umano” prodotta nelle università si traduce, nello stesso mondo del lavoro, in riduzione delle nostre capacità e impoverimento della nostra ricchezza sociale alla quale pretendiamo, invece, venga riconosciuto reddito, dignità e libertà di organizzazione sociale, oltre la scarsità prodotta dalle regole di mercato.
In questi termini riteniamo che questa lotta sia comune e che non possa concentrarsi sulla pura rivendicazione del posto di lavoro, bensì debba essere una lotta capace di mettere in discussione gli assetti generali che regolano lo stesso mondo del lavoro e parta dal rifiuto dei suoi dispositivi di sfruttamento e impoverimento.
Non siamo disposti a subire anche per il portierato dell’Università la lezione d’austerity del Prof. Melis! No, la solita barzelletta non funziona più. Non siamo tutti sulla stessa barca. Melis, non sei vittima dei tagli, sei quello che decide di scaricare il costo dei tagli su lavoratori e studenti. Sei quello che vorrebbe racimolare qualche soldo a scapito del salario e della dignità di centinaia di persone.
Contro l’impoverimento, per 500 euro al mese, le porte dell’Università te le sbattiamo in faccia!