La stagione estiva volge al termine. Volge al termine “La stagione”, l’impiego stagionale di tanti giovani che in Sardegna durante l’estate riempiono le località turistiche della costa – da Villasimius a Pula alla Costa Smeralda – in cerca di un impiego capace di garantire un reddito che possa coprire l’altra stagione dell’anno, quella sfigata.
Si tratta spesso di studenti, magari gli stessi che finiscono “fuori corso” perché impiegati in questo o in quel resort e quindi impossibilitati a sostenere esami nelle sessioni di giugno, luglio e settembre – ah no, giusto, l’Ateneo propone la soluzione di iscriverci come “studenti a tempo parziale” anche se lavoriamo “solo” per tre mesi all’anno, dodici ore al giorno di cui solo sei retribuite.
Si tratta spesso di studenti obbligati a “farsi la stagione” per “potersi pagare gli studi” – una delle tante espressioni logorate dalla frequenza del loro utilizzo ma che si traducono nell’esigenza di racimolare i soldi per poter sostenere nove mesi di affitto e di spese a Cagliari. Poi magari per le tasse si ricorre al welfare creativo di mammai e babbai, sempre che non si risulti “idonei non beneficiari” per insufficienza di fondi anche in famiglia.
Riportiamo un contributo apparso in rete che racconta una di queste vicende. Una storia che abbiamo vissuto più volte. Un neolaureato questa volta.
Vogliamo far circolare e condividere queste nostre storie perché crediamo che la costruzione politica del rifiuto della comune e generazionale condizione di sfruttamento debba passare preliminarmente per il riconoscimento reciproco. Ci vogliono subalterni non solo nelle gerarchie del villaggio vacanze ma subalterni nella produzione sociale in genere, la quale, pur affidata interamente a noi, è retta da rapporti che ci impoveriscono e ci rendono non padroni delle nostre vite. Come abbiamo visto questa continuità possiamo verificarla partendo dall’università stessa. Essa, per i dispositivi di segmentazione che la strutturano e che abbiamo sopra nominato (“iscrizione a tempo a parziale” e “fuori corsismo” per citarne solo alcuni) si configura come strumento principe di regolazione sociale di un’intera generazione precaria.
Ma raccontare non basta. Riconoscersi significa per noi uscire dall’individualità, ricomporre per rifiutare.
C.U.A. Casteddu
Forte Village: una stagione all’inferno.
Alcuni giorni dopo essermi laureato, 3 anni fa, avevo deciso di racimolare qualche soldo e ho pensato di sfruttare il mio brevetto da bagnino al meglio, se non altro per recuperare i soldi del corso e potermi permettere un viaggio con la mia fidanzata o i miei amici.
Fare la stagione come bagnino-facchino non è poi così difficile e si era presentata in breve l’opportunità di lavorare per il Forte Village a Santa Margherita di Pula, poche decine di chilometri da Cagliari.
di Daniele Garzia
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