Abitare la crisi. Incontro e confronto con modelli alternativi di garanzia sociale.

L’insoddisfazione dei nostri bisogni sociali all’interno della crisi ci impone la necessità di costruire nuove forme di tutela che partano dal rifiuto della delega alle istituzioni ormai incapaci di garantire il sistema welfaristico e che passino per il protagonismo dei soggetti sociali. A questo proposito nasce l’iniziativa Abitare la crisi, incontro-dibattito (organizzato dal CUA insieme ad alcuni ragazzi dell’Assemblea per la Riappropriazione del Welfare Studentesco, con la partecipazione dei compagni del Progetto Prendocasa Pisa) sul problema abitativo generato dalla speculazione edilizia e dall’inefficienza volontaria degli storici dispositivi di tutela dello stato sociale.

Il problema dell’abitare si fa sempre più pressante in un contesto diffusamente impoverito e indebitato come quello cagliaritano, teatro nel mese di giugno dello sgombero di due Case dello Studente (Via Montesanto e Via Roma) condotto con violenza da parte dell’ERSU (Ente Regionale per il Diritto allo Studio), chiuse poi nel mese di agosto per inagibilità. L’ERSU è stato capace di produrre una condizione emergenziale attraverso l’incuria nella manutenzione degli stabili, condizione utilizzata per giustificate le insoddisfacenti misure adottate: delega a privati nella gestione del diritto abitativo (siano essi impresari o il College di Sant’Efisio, struttura di proprietà della Curia finanziata con oltre 19 milioni di fondi pubblici) e monetarizzazione dello stesso. L’Ente ha di fatto smantellato il servizio di garanzia, concedendo poi delle briciole facendo credere di aver ripristinato la normalità del servizio. Si tratta di una precisa manovra finalizzata a sedare gli animi a fronte di una palese ingiustizia. Non si può non pensare alla Verdi 15, residenza universitaria occupata per rispondere alle esigenze dei ragazzi che si sono trovati in mezzo a una strada in seguito alla chiusura di un’altra Casa dello Studente, la cui vicenda ha occupato le cronache nazionali in seguito allo sgombero.

“Quali risposte si possono dare di fronte a questo svuotamento del pubblico al servizio dei privati?” è la domanda fondamentale da cui ognuno di noi deve partire. In tal senso, è utile prestare attenzione alla testimonianza di Simone, uno dei compagni del Progetto Prendocasa Pisa. La realtà di Prendocasa nasce nel 2007 per dare nuova progettualità a forme di lotta già esistenti nel contesto cittadino pisano. E’ in atto un vero e proprio progetto di impoverimento sociale, imposto da coloro che, pugnaci difensori del liberismo economico, consentono che, in una città come Pisa, l’affitto di una doppia costi non meno di 300 euro, e che oltre 5000 case restino sfitte. La tendenza è quella di accettare passivamente la condizione presente. Ma, come ci testimonia il caso pisano, ci sono altre possibilità. Prendocasa, infatti, non è un caso isolato, ma uno dei tanti progetti portati avanti per la difesa del diritto abitativo, attraverso la creazione di sportelli e di una rete di solidarietà che oppone resistenza agli sfratti. Ma affinché progetti di questo tipo abbiano successo è fondamentale la partecipazione di tutti coloro che, studenti, insegnanti, operai, immigrati, sognano un futuro diverso, impegnandosi in una lotta di riappropriazione dal basso.

Punto di partenza, come CUA, è quello della riapertura degli spazi in università, un tempo luogo di confronto e socializzazione e oggi ridotti a meri “esamifici”. Parola d’ordine è quella della “radicalizzazione della normalità”: i nostri bisogni sociali, nel momento in cui il patto capitale-lavoro è saltato, necessitano di pratiche di riappropriazione dal basso che noi dobbiamo essere in grado di attuare e socializzare e che i diversi soggetti sociali devono interiorizzare come forme di lotta non stigmatizzabili, ma giustificabili in quanto riconducibili a bisogni e desideri primari.