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Cagliari sta con la Verdi 15 occupata!!

Siamo vicini ai compagni e alle compagne della Verdi 15, residenza universitaria che da mesi ospitava studenti e studentesse, che stamattina verso le 10 è stata assoggettata a sgombero forzato: la polizia ha fatto irruzione all’interno dello stabile cogliendo di sorpresa i residenti, che sono stati identificati e mantenuti nella struttura senza possibilità di dialogare con l’esterno. La residenza autogestita era diventata un’idea diversa di politica e di socialità, che andava contro le manovre di impoverimento e di austerity. L’occupazione dello stabile, un’ex casa dello studente al centro delle speculazioni edilizie, era nata dopo lo sfratto prepotente eseguito dall’Edisu contro due ragazzi tunisini per decadenza del diritto all’abitare in una residenza universitaria.

La Verdi 15 è una realtà che è riuscita a dare una risposta alla situazione di impoverimento degli studenti, situazione che ha fatto nascere in loro l’esigenza di riprendersi il diritto allo studio negatogli e di occupare la struttura.

Studenti che così si rifiutano di diventare quella figura soggettiva che ormai investe l’insieme dello spazio pubblico: la figura dello studente indebitato.
Studenti che non vogliono piegarsi al ricatto del default del debito, che porta al taglio dei servizi sociali e mette il welfare al servizio delle imprese, attraverso la privatizzazione di qualunque cosa.

L’occupazione ha permesso a tante persone di usufruire del diritto abitativo, di partecipare a gruppi di studio autogestiti (cineforum, corsi di musica, corsi di lingue, scambio culturale con ragazzi stranieri), di usufruire di numerosi servizi, come quello della ciclo-officina, nonché – per i ragazzi dell’Accademia di Belle Arti e del Conservatorio – di utilizzare spazi per le attività di studio che altrimenti non avrebbero potuto esercitare. Ciò che accomuna la Verdi 15 con tutte le realtà contro la distruzione del welfare, è la determinazione nel lottare contro chi, giustificandosi dietro lo stato emergenziale del momento, porta avanti politiche di smantellamento della categoria del diritto allo studio come frontiera della dismissione del welfare.

Qua sta la forza della Verdi 15!
Con la sua lotta cerca di far crollare quel vecchio e stanco meccanismo di gestione della “cosa pubblica” che cerca di rinnovarsi nell’attuale contesto della crisi, producendo una figura sociale segmentata, svalorizzata e impoverita.

La Verdi 15 non potrà mai essere sgomberata perché è riuscita a gettare le basi di un’alternativa comune per quegli stessi studenti che si sono ritrovati “impoveriti”, così a Torino come a Cagliari, come in qualsiasi altro posto in cui si cerca di costruire una comunità in lotta.

Come CUA Casteddu esprimiamo la nostra solidarietà verso i compagn* della Verdi 15.

NOI siamo la resistenza contro la crisi, noi siamo una realtà che pratica e sperimenta l’alternativa.
NOI siamo la riappropriazione di una spazio pubblico contro la privatizzazione delle vite di tutt*.
NO AI TAGLI alle borse di studio, a scuola e università pubblica, agli asili e a tutto il comparto del sociale!

“Riprendiamoci i nostri spazi. Al fianco dei ragazzi della residenza universitaria Verdi 15 Occupata.”

PRODUCI, CONSUMA, CREPA! Il destino dello studente moderno

Nuovo anno accademico, nuove tasse, nuovi attacchi agli studenti!

Francesco Profumo, ministro dell’istruzione, Università e Ricerca:<< I fuoricorso hanno un costo anche in termini sociali >>

F.P. << Un po’ di bastone e carota. Questo è un paese che ha bisogno di essere trattato in questo modo. E dobbiamo avviare questo processo >>

Michel Martone, viceministro del lavoro:<< Dobbiamo dire ai nostri giovani che se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto tecnico professionale sei bravo. Essere secchione è bello, almeno hai fatto qualcosa >>

Questa e altre dichiarazioni sono mirate alla criminalizzazione dello studente “non meritevole”, ennesimo stereotipo ideologico, come il disoccupato fannullone o il privato virtuoso, da usare come ariete di sfondamento delle poche barriere rimanenti a difesa del diritto allo studio.
L’università di Cagliari, in linea con i provvedimenti adottati dal sistema universitario Italiano, inserisce sovrattasse. A cosa servono? Ad eliminare i “perditempo” o ad ingrassare i conti?
La parola d’ordine è “meritocrazia”.

Emergono dal regolamento tasse (a pagina 10, link qui):

“sovrattassa di discontinuità”: gli studenti inattivi, ovvero coloro che nel corso di un semestre non superano almeno un esame, dovranno corrispondere per ogni semestre di inattività una tassa dal valore di 50€.
Questa tempistica non corrisponde a quella interna dell’organizzazione di ogni corso generando disagi e complicazioni. Un’ulteriore conseguenza è lo scavalcamento dell’autorganizzazione del singolo studente, limitandone l’organizzazione dello studio in base alle proprie esigenze, per esempio un lavoro che gli garantisca un reddito minimo necessario al mantenimento degli studi).

“Incremento tassa base per numero CFU conseguiti inferiore alla media del Corso”, determinata in base al numero di CFU dati in un anno: se il numero di questi è inferiore alla media dei crediti conseguiti dagli altri studenti del corso, si è “multati” con una sovrattassa del 10% sulla tassa base, non c’è scampo neanche per gli esentasse, che dovranno comunque pagare la sovrattassa calcolata sulla tassa base minima. Lo strumento della media, infatti, garantisce per sua stessa definizione la presenza di studenti al di sotto di tale media assicurando di fatto un’entrata sicura nel bilancio universitario già abbondantemente pagato attraverso le tasse (20?? milioni di euro dati dagli studenti dell’università).

Tutto ciò viene giustificato come adattamento al sistema meritocratico, stimolando così impegno e dedizione, creando soggetti produttivi integrati in sistema e società.

Esiste però un’altra chiave di lettura, quella dove il termine meritocrazia si traduce in creditocrazia: in un sistema meritocratico si applicano delle dinamiche volte alla creazione di soggetti sociali conformi al sistema economico-produttivo.
Ci troviamo davanti ad un vero e proprio processo di aziendalizzazione dell’università: i crediti diventano lo strumento di valutazione dell’efficienza produttiva dello studente, fagocitato all’interno del sistema del debito (che da formativo diventa reale, spianando la strada ad un classismo che puzza di vecchio). Con il sistema del “paghi per studiare”, “meno studi più paghi”, il livello di formazione è determinato prettamente in base al numero dei crediti, si sta premiando chi produce di più sulle spalle di tutti gli altri. Le contraddizioni più esplicite nascono da una situazione non paritaria di partenza, dovuta ad esempio a condizioni socio-economico-culturali precedenti, successivamente aggravate da questi metodi che conducono alla creazione di disparità tra gli studenti. Coloro che occupano i gradini più bassi, sono destinati all’ingresso in un labirinto senza uscita: l’impossibilità di colmare la distanza che nel peggiore dei casi porta all’abbandono degli studi. È questa l’università pubblica? Non si sta garantendo un servizio decente, e tanto meno lo si sta garantendo a tutti.
La dinamica del “punirne cento per premiarne uno” stimola la competizione secondo principi che trasformano la meritocrazia in creditocrazia, insomma, una “gara per l’impiegato dell’anno” che vede i crediti come unici strumenti di valutazione.
L’università viene privata del ruolo di servizio per diventare un luogo di produzione: gli studenti devono produrre (rendere bene e guadagnare crediti) o in alternativa pagare (chi può permetterselo).
Il fuori corso è diventato il nemico numero uno dell’università, da additare come costo sociale, che impedisce al mondo della formazione di migliorare il suo servizio, e da sfruttare come fondo cassa necessario al risanamento dei bilanci degli atenei.
Ci si pone nuovamente una scelta importante da prendere: continuare a lamentarci per i servizi sempre più scadenti, per le borse di studio in continua diminuzione e per le tasse sempre più onerose, o si può iniziare a reagire a questo stato di cose istruendoci, agitandoci e organizzandoci per riappropriarci di ciò che ci spetta e affermare che questa crisi non l’abbiamo voluta, non l’abbiamo creata e non abbiamo nessuna intenzione di pagarla.

Clausura a Sant’Efisio? Lottiamo per riaprire il nostro college!

Oltre il danno, la beffa. Il College Sant’Efisio, struttura pubblica – perché finanziata con soldi pubblici, ma privata – perché in possesso della Curia, la cui ristrutturazione è costata alla Regione Autonoma Sardegna oltre 18 milioni di euro (soldi pubblici, quindi soldi nostri) è uno dei termini di soluzione imposti dall’ERSU agli studenti per l’emergenza case dell’autunno 2012. Quando, davanti agli occhi, due case dello studente sono chiuse per inagibilità e i progetti per la costruzione di nuove case sono totalmente assenti ma, voltandoci alle spalle, vediamo strutture abitative nuove di zecca come quella del College Sant’Efisio, riesce difficile credere all’escamotage della crisi economica come giustificazione della totale mancanza di investimenti nel mondo della formazione.

L’accordo ERSU-College prevede un versamento nelle casse della Curia di circa 260 euro al mese per posto letto, accordo che continua a depredare le casse pubbliche dirottando il denaro verso i privati.

Abbiamo pagato il College e stiamo pagando gli affitti al College. Non basta ancora. La direzione del College ha imposto che la struttura sia divisa in settori femminili e settori maschili. I criteri di assegnazione dei posti letto hanno dovuto sottostare a questa imposizione: questo ha determinato che i primi assegnatari “aprissero” i piani rispettivamente a maschi o  femmine. Quindi: la prima ragazza che ha preso la prima stanza al primo piano ha determinato (senza volerlo) che quel piano fosse destinato solo alle ragazze, e così per gli altri piani. Un solo piano è stato “aperto” da un ragazzo. Alla fine delle assegnazioni uno dei piani femminili è rimasto pressoché vuoto, ma i ragazzi meritevoli della singola non hanno potuto avere accesso al diritto abitativo perché la direzione del College ha negato la possibilità di poter creare un piano misto.

Quella struttura è nostra, pagata da noi. Ci hanno fatto pagare per costruirla, ci stanno facendo pagare per abitarla, e ora ci impongono delle regole assurde per poterci abitare. Dalla Curia s’impone un regime per seminaristi.

Clausura a Sant’Efisio? No! Nulla di regalato, riprendiamoci quello che ci spetta! RIAPRIAMOLO!

 C.U.A. Casteddu

Assemblea contro i tagli all’università Martedì 9

Le soluzioni proposte dall’ERSU in seguito alla chiusura di due case dello studente stanno creando notevole disagio agli studenti.
Il College Sant’Efisio, pagato con i soldi della regione, percepisce un compenso maggiore per gli affitti rispetto a quanto l’ERSU da per ogni studente costretto ad affittare stanze per tre mesi, 260 contro 200 euro.
Affitti che presumibilmente potranno solo essere in nero vista la difficoltà nel trovare qualcuno che ti permetta di fare un contratto per soli tre mesi.

Laddove questa rappresentanza non è capace di garantircelo, siamo noi che dobbiamo incontrarci tutti assieme – abitanti nelle case, borsisti, idonei non beneficiari, studenti non idonei – per discutere la situazione e costruire da noi una soluzione alternativa.

Riprendiamoci il presente per garantirci il futuro.
INCONTRIAMOCI Martedì 9 ottobre alle 11 al Magistero, via Is Mirrionis 1.

Report dalla seconda assemblea per la riappropriazione del welfare studentesco

In data 19 settembre 2012 si è svolta la seconda Assemblea contro la chiusura delle case dello studente di via Roma e di via Montesanto.
La discussione, iniziata portando ancora una volta alla luce la condizione di disagio in cui si trovano gli studenti delle case, dei borsisti, degli idonei non beneficiari, ha fatto emergere nuovi punti, come la ulteriore precarizzazione dei servizi di portierato e multi-service e il pagamento dei test d’ammissione alle lauree triennali e magistrali, che vanno a intaccare reddito e garanzie studentesche.
L’assemblea, per la sua eterogeneità, ha mostrato nella sua composizione i molteplici caratteri della condizione studentesca: da chi è interessato in prima persona dalla chiusura delle case a chi da semplice studente non borsista sente comunque il precaricazzarsi della propria condizione. Emerge il sentimento comune di chi è stanco di subire l’impoverimento causato dai sacrifici richiesti per le cosiddette politiche anti-crisi. I soldi ci sono e li vogliamo subito.
Alla luce di questi punti si è deciso di costituire un’assemblea permanente per un percorso di lotta che generalizzi le istanze dei borsisti a tutto il precariato sociale giovanile e che ponga come unica rivendicazione comune la totale riappropriazione del welfare studentesco.

RIAPPROPRIAMOCI DI CIÓ CHE È NOSTRO!

Dismissione e riappropriazione del welfare. L’ERSU e la governance al tempo della crisi.

Due case dello studente chiudono per una ristrutturazione improvvisa, anche se le fatiscenti condizioni degli stabili erano sotto gli occhi di tutti da tempo. Un tempo mai utilizzato per svolgere quelli che all’inizio erano dei normali lavori di manutenzione e che ora si sono trasformati in veri e propri lavori di smantellamento e ricostruzione.

 

La politica dell’impoverimento.

La tendenza, nemmeno tanto velata, replicata nel tempo con le ripetute chiusure per inagibilità della struttura di via Roma, è quella di produrre uno stato emergenziale capace di giustificare politiche di gestione a ribasso sulle tutele sociali speculando, inoltre, sull’allargamento della forbice tra beneficiari e idonei non beneficiari delle tutele al fine di deresponsabilizzare l’ente come soggetto garante del welfare studentesco. L’unica via d’uscita paventata dall’ERSU infatti, in obbedienza a questa strategia di deresponsabilizzazione, consiste nella monetarizzazione svalutata del servizio: accordare 108 euro per mensilità a chi avesse dovuto lasciare il proprio alloggio; con questa elemosina gli studenti sfrattati avrebbero dovuto coprire le spese di un affitto alternativo all’alloggio ERSU. Inutile dire che una cifra del genere fatica a soddisfare anche solo un terzo del costo della vita in città per uno studente fuori sede.

Non solo. Appare evidente come gli strumenti di garanzia collaterale predisposti dall’ente quali il contributo fitto casa, mostrino tutta la loro inadeguatezza e vengano, paradossalmente, fatti implodere dalle stesse politiche dell’ente. Un frangente “d’emergenza” come questo scopre il welfare di cartapesta predisposto dall’ERSU. Si tratta infatti di strumenti spesso e volentieri approntati secondo una logica di complicità e compatibilità con gli assetti di un mercato immobiliare degli affitti in città gonfiato a dismisura dall’ingente numero di appartamenti e stabili sfitti; strumenti privi di una reale base di finanziamento capace di ammortizzare – come scelta politica – l’impoverimento del reddito studentesco causato dalla speculazione immobiliare privata. Piuttosto, al contrario, si tratta di strumenti funzionali ad alimentare questa speculazione.

Governance: due passi avanti, uno indietro, un piede oltre la porta di casa.

Questo il quadro orientativo della politica dell’ERSU. Nessun confronto, nessuna proposta alternativa, nessuna mediazione. Eppure, in quanto siamo coscienti che solo le lotte producono la possibilità del cambiamento, abbiamo iniziato a costruire il nostro “NO” a questa politica. Ma bisogna ora interrogarsi sul carattere di questo nostro rifiuto e su quanto successo nel CdA Ersu del 6 settembre per poterne coglierne la portata politica e la dimensione di crescita strategica.

Sicuramente ci opponiamo in tutto e per tutto alle politiche di impoverimento perpetrate da ERSU e Regione ai nostri danni, ma sappiamo allo stesso tempo che non abbiamo la possibilità di contrattare alcunché. Vediamo crollare meccanismi storici di gestione della “cosa pubblica” che non possono non ridefinire anche le nostre stesse risposte politiche in termini di prospettiva e di organizzazione. Infatti, il controllo delle politiche sociali scivola verso una governance delle risorse scarse la quale prevede un’unilateralità del comando senza interesse alla mediazione, ma non per via di un’improvvisa quanto inspiegabile impennata autoritaria, quanto piuttosto perché si è ristrutturato l’assetto produttivo delle nostre società e dunque le forme del suo governo. Con questo nuovo livello dobbiamo confrontarci nelle nostre lotte.

Gli aggiustamenti della contrattazione, gestiti un tempo da livelli di rappresentanza – il sindacato studentesco e l’azienda, ad esempio – come presunta espressione di un corpo politico costituito da forze sociali diverse ma sinergiche, vengono riassorbiti, senza alcuna dialettica, nella rappresentazione di una virtualità della politica. Si simula nei comportamenti di un solo soggetto – l’ERSU in questo caso – la pluralità degli interessi sociali in conflitto incorporandone però di fatto la decisionalità ultima nel medesimo soggetto – sempre l’ERSU – pseudo garante di quelli che vengono spacciati per “interessi comuni”: comuni – secondo la loro narrazione – a un ente sottofinanziato e a una componente studentesca vittima dei tagli. Non a caso – interiorizzata questa retorica – vediamo il totale appiattimento della rappresentanza studentesca sulle posizioni dell’ente: i rappresentanti di UNICA 2.0 utilizzano la prima persona plurale per riferirsi al Consiglio di Amministrazione dell’ERSU.

Ma la retorica si smaschera. Così, dopo i primi nostri segnali di agitazione, debitamente preventivati e assimilati dalla controparte, abbiamo assistito a questo gioco dell’oca in cui – a differenza dei “classici” – l’ERSU ha prima fatto due passi avanti per poi farne uno indietro pur guadagnando comunque un passo oltre l’uscio di casa nostra per avvisarci dello sfratto imminente.

Il quadro principale, dopo il CdA del 6 settembre, si è dunque così ricomposto “per venire incontro agli studenti”, sebbene questi non fossero stati minimamente interpellati: via Roma resterà chiusa tutto l’anno; gli studenti che vi albergavano saranno ospitati nel College Sant’Efisio e nella Foresteria. Via Montesanto resterà chiusa per ristrutturazioni pesanti fino a gennaio, dopodiché gli studenti potranno farvi ritorno convivendo con il prosieguo dei lavori di piccola manutenzione. L’ERSU assegnerà agli studenti di via Montesanto un rimborso di 200 euro per i mesi di ottobre, novembre e dicembre. Questo rimborso verrà consegnato a dicembre con il primo assegno della borsa di studio. Queste decisioni sono state prese in Consiglio d’Amministrazione senza il diritto di replica da parte degli interessati e senza offrire margini di trattativa nello stesso CdA. O così o niente.

Che l’ERSU comunque realizzi la propria politica, prima sparando alto poi riaggiustando la mira a seconda del nostro umore, risulta un fatto conclamato. Basta osservare l’insufficienza di queste misure – senza neanche indagare ulteriormente le criticità esistenti intorno al Campus di Sant’Efisio, una struttura privata finanziata con soldi della Regione Sardegna, che ad oggi è costata la scandalosa cifra di 8 milioni e 8oo mila euro [sono stati stanziati altri 3 milioni e rotti. Il finanziamento ammonta a circa 12milioni].

Infatti l’ERSU politicamente va all’incasso: la proposta di coprire i tre mesi vacanti con soli 200 euro è altrettanto ridicola della prima proposta che elemosinava 108 euro! Come è possibile coprire i costi di affitto, bollette, gas, condominio con soli 200 euro? Qual è l’affittuario disposto a concedere una stanza in affitto per soli tre mesi? Saremmo costretti a mentire e ad affittare in nero? L’ERSU vuole questo? Probabilmente sì, non disdegnando quel sistema di compatibilità e complicità con il mercato immobiliare di cui sopra. Certo, che noi si corra anche il rischio di non ricevere indietro i soldi della caparra, alla resa dei conti, non è affare dell’ente! Come faranno coloro che versano in condizioni più indigenti ad anticipare i soldi di tre mensilità e della caparra (senza contare le varie spese fisse)? Chi ci assicura che via Montesanto riaprirà realmente a gennaio?

Indietro non si torna. Dalla dismissione del welfare alla riappropriazione.

Tutti i punti della politica di impoverimento sopra delineati (politiche di gestione a ribasso sulle tutele sociali, allargamento della forbice tra beneficiari e idonei non beneficiari, strategia di deresponsabilizzazione, monetarizzazione dei servizi, assenza di proposte alternative etc.) vengono toccati e soddisfatti. Questa finzione della governance – toglierti tutto per poi restituirti qualcosa facendoti però credere di non averti preso nulla ma, anzi, di averti tutelato e garantito – funziona come un vero e proprio dispositivo di disciplinamento dell’insubordinazione sociale contro le misure di impoverimento in tempo di crisi.

Ma, appunto, per poter costruire un nostro “NO” forte, è necessario allora cogliere l’elemento essenziale che sta al fondo di queste politiche, bisogna cogliere la natura della governance in quanto – come detto – interprete dell’assetto produttivo delle nostre società.

Partendo anche e soprattutto dal motore della conflittualità endogena delle classi subalterne, storicamente abbiamo visto saltare il patto storico tra capitale e lavoro che ha retto le socialdemocrazie occidentali novecentesche. Un patto basato sulla subordinazione della forza lavoro sociale al comando capitalistico in cambio delle promesse emancipative di quest’ultimo fatte di istruzione, sanità, trasporti, garanzie sociali etc. Questo storicamente è stata la natura del welfare nelle nostre società, uno strumento animato dall’ambivalenza dell’emancipazione e del disciplinamento.

È necessario interrogarci sulla natura del welfare ora; ora che è saltato il patto che lo ha fondato. La crisi degli istituti classici di rappresentanza, intesi come soggetti titolati a partecipare alla discussione su come organizzare l’attività produttiva e – come nel caso degli enti per la tutela del diritto allo studio – riproduttiva della società dev’essere interrogata partendo dal fatto che non c’è più discussione possibile perché non c’è più possibilità di organizzare entro la cornice dello stato e dei suoi sistemi di regolazione politica della conflittualità, la produzione sociale. Questo intendiamo, a più livelli, per crisi della rappresentanza e fine della mediazione.

Eppure resta il comando sul lavoro sociale, un comando che deve pur produrre profitto. Allora in società dove sempre più la produzione di ricchezza si autonomizza nelle relazioni sociali (capitalismo cognitivo) indipendenti dalla possibilità di un controllo proprietario (perdita di centralità del capitale fisso) osserviamo la tendenziale finanziarizzazione dei processi produttivi e dunque il divenire rendita dei profitti. Creare sbarramenti e privatizzare ciò che è socializzato, sono tutti dispositivi per catturare, artificiosamente, la produzione del lavoro vivo.

Dunque, in relazione al welfare studentesco ma anche alla natura del welfare in generale come “strumento inattuale”, osserviamo, da un lato, una continua erosione degli istituti classici di garanzia sociale, in quanto appunto portato residuale di un patto che non esite più, e pertanto intesi ormai banalmente come spese da tagliare (questo significa austerity, questo significa il sottofinanziamento dell’ERSU). Da un altro lato osserviamo però che il welfare classico trova una sua attualità, ristrutturandosi in tutta una serie di dispositivi che tendono a incanalare le istanze di reddito di un precariato giovanile diffuso o entro meccanismi di indebitamento coatto (vedi le conseguenze dell’aumento degli idonei non beneficiari, oppure, più esplicitamente,l’introduzione sempre più spinta di prestiti d’onore a “garanzia politica”, come il progetto “giovani sì” della regione Toscana) oppure in una risoluzione dei servizi in contributi monetari (il caso del “rimborso” di 200 euro in relazione alla chiusura della casa dello studente è il caso più lampante ma potremmo anche menzionare il fatto che l’affitto del posto alloggio è detratto dalla borsa di studio così allo stesso modo i pasti in mensa).

Rispetto a questo quadro non possiamo tornare indietro. Sappiamo però che la lotta contro questi dispositivi e contro la governance che li impone ha guadagnato per noi una sua dimensione specifica: se nessuna mediazione è possibile non abbiamo che la riappropriazione contro l’impoverimento.

Il gioco delle case dello studente

La “manutenzione straordinaria” che diventa “ordinaria amministrazione”: la chiusura delle case dello studente.

 

A partire da Settembre 2012 gli studenti fuorisede dell’Università di Cagliari avranno una bella sorpresa: è infatti notizia di questi giorni la chiusura, causa lavori di ristrutturazione, di 2 delle 5 Case dello studente, quella di Via Roma e quella di Via Montesanto. Il calcolo è presto fatto: degli 851 posti letto a concorso disponibili ben 300 verranno cancellati e gli studenti gentilmente invitati ad arrangiarsi e a trovarsi una sistemazione. È l’ennesimo colpo inferto al diritto allo studio per gli studenti dell’ateneo cagliaritano, da sempre alle prese con diritti misconosciuti a causa della mancanza di soldi e di posti. Il meccanismo è ormai noto, lo stesso adottato per giustificare la sgombero della casa di via Montesanto nel recente anno accademico: lasciare in stato di abbandono cronico le strutture per poi dichiararle inagibili e allontanare gli studenti ospitati senza, nel frattempo, preparare alcuna soluzione alternativa. Si proclama uno stato d’emergenza e, sbandierando straordinari interventi, si giustificano chiusure, trasferimenti, ritardi nei pagamenti a spese della popolazione studentesca ormai abituata all’ordinarietà di questi straordinari provvedimenti. Noi tutti sappiamo però che ci sono precise responsabilità politiche e non siamo più disposti a far finta di niente.

Trovarsi ad Agosto con due case dello studente chiuse, senza un progetto di ristrutturazione approvato e conseguentemente, con la prospettiva di vedere procrastinati sine die l’inizio e la fine dei lavori è, non solo un’offesa bensì un dramma per molti studenti, spesso provenienti da zone della Sardegna in ginocchio per una crisi che sembra infinita e senza vie d’uscita, che probabilmente saranno costretti a non iscriversi al nuovo anno non avendo i soldi per potersi mantenere fuori.

 

Correre ai ripari monetizzando i servizi: vogliamo garanzie e reddito

 

Dicono che troveranno una soluzione per ogni caso particolare, che nessuno verrà lasciato solo. Ci permettiamo di dubitare fortemente che ciò avverrà. Sono già centinaia gli studenti appartenenti alla categoria degli “idonei non beneficiari” che, pur avendo tutti i requisiti per entrare in una casa dello studente vengono abbandonati a sé stessi e questa ennesima mazzata arriva proprio nell’anno in cui si prospetta l’ennesima riforma universitaria “meritocratica” che altro non è che un premio per “l’impiegato dell’anno” pagato con gli aumenti delle tasse a tutti gli altri.

Eppure la situazione delle case dello studente a Cagliari è nota a tutti, non solo a quei pochi fortunati che ci abitano. Di fronte a più di 30000 iscritti le case dello studente sono solo 5, per lo più fatiscenti e bisognose di urgenti opere di restauro. Di fronte a questo problema vari amministrazioni comunali, regionali, (Magnifici) Rettori, ed ERSU vari fanno a gara a chi la spara più grossa: improbabili college simil-americani da 1.000 posti progettati dai migliori architetti al mondo oppure trasformazione del quartiere di Castello in un immenso studentato. La verità oggi però è solo una: a partire da settembre un centinaio di studenti non sapranno dove andare.

Nel bando ERSU per borsa di studio e posto alloggio 2012-2013 assicurano che “sarà rimborsata la quota in denaro  equivalente al valore del servizio alloggio detratta dalla borsa per il periodo di non fruizione  della camera”, ovvero verrà rimborsata una quota variabile tra  48 e i 100 euro mensili. Chiunque viva la condizione di studente fuori sede a Cagliari sa bene che una tale cifra non soddisfa neanche metà del canone d’affitto medio mensile in città per un posto letto in una stanza doppia.

 

Basta aspettare!

 

Non si illudano però i signori Rettori, direttori e amministatori vari, quest’anno non riusciranno a sedersi ad un tavolo con “sedicenti” rappresentanti degli studenti pronti a farsi intortare dalle scuse più disparate e a raccogliere le briciole pur di tappare i buchi di politiche strutturalmente incapaci di garantire alloggi adeguati per gli studenti borsisti.

Le soluzioni ora le decidiamo noi. Non siamo più disposti a farci sgomberare dalle case, non siamo più disposti a pagare affitti esorbitanti a vederci privati per calcolo e irresponsabilità di quanto ci appartiene. Di quanti stabili sfitti dispone l’Ateneo? E il patrimonio pubblico in svendita a quanto ammonta? Chi abita nel College Sant’Efisio di via Cadello, lo studentato della diocesi costruito con il finanziamento di oltre 8 milioni di euro da parte della Regione? Una struttura da 37 posti letto che  ha già accolto, in via stroardinaria, i “profughi” di via Montesanto. Una struttura per  la quale si prevede un ampliamento a 81 posti letto a conclusione del primo lotto di lavori e un ulteriore ampliamento successivo, il tutto sempre con i soldi nostri.

Noi non siamo più disposti ad accontentarci, noi VOGLIAMO TUTTO! Perciò – ERSU, Direttore, Rettore – riordinate le stanze degli ospiti e tirate fuori il servizio buono perché o trovate un alloggio per tutti o da Settembre veniamo a dormire a casa vostra!

Collettivo Universitario Autonomo Casteddu